Marco Bellocchio

Documentario

Marco Bellocchio Marx può aspettare


2021 » RECENSIONE | Documentario



19/07/2021 di Silvia Morganti
Partiamo dall’inizio, anzi dalla fine, dal trailer.

Il trailer del film di Marco Bellocchio coglie nel segno; quelle note iniziali di un coro di fantasmi, incubi, paure – che ben ricordiamo già presenti in altre pellicole del Maestro, da Buongiorno, notte a Il traditore –  corrispondono esattamente alla presenza di Camillo, fratello gemello del regista, scomparso a 29 anni per sua scelta, e che del film è il protagonista assente.

Marx può aspettare è un documento intimo e privato di una perdita, di un segreto irrisolto, di un tormento che deve essere stato difficile affrontare giorno dopo giorno. Bellocchio non si risparmia e non si assolve: colpisce la ‘registrazione’ severa degli stessi sguardi dei figli Elena e Pier Giorgio che ascoltano il racconto del padre e nelle pause talvolta si guardano, sembrando quasi inflessibili nei suoi confronti. Ma la macchina da presa è in fondo nelle sue mani, è lui che sceglie di inquadrarli in quegli sguardi, perché? Forse perché ben riflettono il suo stato d’animo, non pacificato verso se stesso per una vicenda privata che lo ha accompagnato fin qui silenziosamente, che ora trova parola/voce, che si fa racconto, che si colora di ricordo e di liberazione allo stesso tempo, liberazione da un senso di colpa per una risposta non data, per un aiuto negato  o per una disattenzione verso un malessere non intercettato fino in fondo, proprio da lui – al pari di tutti gli altri – che  da fratello più stretto, perché gemello, avrebbe dovuto comprendere.

È la storia di una famiglia intera che si dipana attorno a Camillo, ognuno porta il suo punto di vista, la sua esperienza di vita, il suo dolore: un dolore che non è assopito nel tempo, che sembra ancora specchiato negli occhi di chi parla e che giunge per tutti al momento della sua decantazione, perfino per la dolce sorella sordomuta, Letizia. Eppure l’esercizio umano del dialogo non aiuta a far chiarezza più di tanto, perché un suicidio non lascia mai tregua in chi rimane e le parole servono a poco, rimanendo in fondo inspiegabili quanto il gesto.

Lo sguardo cerca forse ciò che non-è-stato-visto: la madre – donna profondamente intrisa di religione cristiana, che teme le “fiamme dell’Inferno” e il Limbo – sembra non aver davvero guardato; la madre appare cieca – come ne I pugni in tasca e in una foto – di fronte alla necessità dei figli – di Camillo in particolare – di essere guardati per riconoscersi e affermarsi. Allora Bellocchio decide di osservare lui per capire e ricostruire le vicende, a distanza: chi meglio di lui può? La regia è così perfetta.

Le inquadrature sono asciutte, essenziali e mostrano gli altri fratelli e sorelle, la cognata, la sorella di Angela (la fidanzata di Camillo), i figli. C’è la Storia dei bombardamenti di Piacenza, del discorso al balcone di Mussolini, dell’Italia liberata e delle manifestazioni del Sessantotto, e poi ci sono le foto di famiglia, la storia personale, il bianco e nero con il colore. Negli incroci di sguardi tra Storia ufficiale e storia di famiglia fioriscono anche sottili ironie.

L’emozione è alta quando si ritrova il cinema del Maestro: citazioni dai suoi film che ricuciono incredibilmente privato e pubblico, riattraversamento di una carriera in cui ci si accorge di come i pensieri più intimi e pezzi della sua vita erano già inseriti nelle sue opere: perfino il bellissimo titolo di Marx può aspettare era stato già pronunciato in Gli occhi, la bocca (1982). La carriera è del resto puntellata tra immagini e video che riflettono la bravura di Marco Bellocchio, in un’Italia che si accorge presto di lui e del suo particolare cinema: la premiazione di Venezia nel 1967 per mano di Moravia per La Cina è vicina fa tremare i polsi! Un festival in cui risuonano i nomi di Pasolini e Visconti, di Bunuel e Godard, dei fratelli Taviani…tutti in concorso: Bellocchio ha solo ventotto anni! La scena della consegna del premio è davvero un pezzo di storia del cinema e si ringrazia per averla mostrata in tutta la sua straordinaria – oggi ancor di più – importanza e splendore, grazie all’aggiunta in montaggio anche della musica.

Marco Bellocchio incede nel passo sul palco davanti ad una platea gremita, appare semplice e ha già nelle tasche opere memorabili e probabilmente Marx sulla scrivania. Qualche giorno fa ha ricevuto La Palma d’Oro d’Onore del Festival di Cannes, a noi il privilegio da semplici spettatori di immaginarlo ancora tra stile inconfondibile e maestria, con la sua bella vitalità e il coraggio di sempre.

Molto altro è in Marx può aspettare, molti i personaggi/le persone decifrate, compreso il fratello Piergiorgio dei “Quaderni piacentini, e i luoghi essenziali della vita, con Bobbio alla fine, tra i silenzi e le musiche di Ezio Bosso… ma ora si tace, perché più che altro va visto, in sala dal 15 luglio.


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