Marco Bellocchio

Drammatico

Marco Bellocchio Esterno notte


2022 » RECENSIONE | Drammatico
Con Fabrizio Gifuni, Margherita Buy, Toni Servillo, Fausto Russo Alesi, Daniela Marra



13/06/2022 di Silvia Morganti
Il cinema italiano rivisita una pagina importante della Storia d’Italia e…di se stesso.

Marco Bellocchio, regista formidabile, pronto a mettersi alla prova ancora una volta con freschezza e lucidità impressionanti, torna sulla sua stessa opera, Buongiorno, notte (2003), sperimentando la forma per lui nuova della narrazione lunga, tipica della “serie”.  Il risultato è un film magnifico, diviso in sei capitoli, uscito non a caso nelle sale cinematografiche in due parti (16 maggio e 9 giugno), dopo essersi mostrato a Cannes Première in tutto il suo splendore. La felicità della mano del creatore si intreccia con quella dell’interpretazione di attori straordinari come Fabrizio Gifuni e Margherita Buy che danno qui un’interpretazione eccellente della coppia Moro.

Bellocchio torna così al rapimento dello statista democristiano e questa volta con la consulenza anche di chi, lo storico Miguel Gotor -che tra l’altro compare nelle vesti del giudice nella I parte-, ha studiato da vicino le lettere della prigionia, che tornano in più punti, assumendo la funzione di restituzione della voce di Moro e delle storture del tempo di chi quella voce non volle ascoltare.

Lo sguardo sulla storia è comunque offerto dai molti punti di vista che la compongono: la complessità si riflette nello sguardo dei molti ‘attori’ in gioco; ciascuno entra come ad illuminare le vicende da una prospettiva diversa, come frammenti di uno stesso specchio rotto. Il cono di luce che corre lungo fili intricati tra esterno e interno, tra prima e dopo, fa continuamente i conti con ciò che si lascia in ombra (sugli ambienti e sui volti stessi). Il giudizio però appare chiaro, cristallino, è come se Bellocchio non si ritraesse dall’impegno, ma anzi con coraggio firmasse un’opera che potremmo definire militante, politica, incapace di strizzare l’occhio ad una parte, capace di aprire in realtà prospettive nuove. La libertà e il coraggio ci sembrano le cifre stilistiche che segnano inequivocabilmente l’opera e la regia.

Il titolo è perfetto: se Buongiorno, notte richiamava un verso di Emily Dickinson e guardava all’interno del nascondiglio, Esterno notte (con il corto circuito di Effetto notte di Truffaut) si concentra su tutto ciò che è esterno letteralmente ad esso. Il mondo dell’Italia di fine anni Settanta lo ripercorriamo nei cinquantacinque giorni del rapimento, in alcuni giorni precedenti e in quelli sconcertanti che seguono, quest’ultimi mostrati alla fine in pochi ma essenziali quadri datati.

Quanto scuote questo film! Le vicende seguono uno stile incalzante e allo stesso tempo sospeso, ma che con coraggio ricompongono un quadro desolante, terribile di una delle pagine storiche più importanti del secondo Novecento. Se nel 2003 alcuni criticarono la rappresentazione delle BR che apparve troppo in superficie nel film di allora, nel 2022 si entra in dinamiche e accadimenti di una violenza estrema, nelle pieghe più recondite e, come accade nel grande cinema, non è tanto ciò che si mostra a creare l’effetto, quanto alcuni dettagli, incrinature, ombre, che sono lì ad amplificarne il senso.

La DC stessa è rappresentata come fosse imago di se stessa: nei tormenti di Cossiga (un bravissimo Fausto Russo Alesi), nei movimenti senza anima di Andreotti (Fabrizio Contri) o nelle lacrime senza senso di Zaccagnini (Gigio Alberti). Lo scudo crociato perde le rose e rimangono solo le spine come nella doppia locandina del film! La via crucis, non solo metaforica, è costellata anche da uno sguardo sulla Chiesa che non è certo priva di contraddizioni, sensi di colpa, lati oscuri. Il papa Paolo VI (Toni Servillo) incarna una delle alte sfere del tempo, espressione tutte di un Potere che va dritto verso il baratro, e non trova scampo neanche lui (la sua morte sarà a poca distanza).

Il film che raccoglie la potenza dell’immaginazione (tipica della poetica di Bellocchio) e quella della Storia non si può né riassumere né svelare a parole. Tutto si muove tra pubblico e privato (della famiglia Moro, delle BR, della politica) come se fosse chiaro però l’obiettivo da raggiungere, la lettura doppia personale e universale di quanto narrato.

Il monologo di Moro/Gifuni davanti al prete, unico soggetto esterno che entra in dialogo con il prigioniero, è struggente, ma non solo per il significato delle parole quanto per il senso che trovano nei movimenti impercettibili disegnati sul volto, il suono increspato del tono, la luce spenta degli occhi, il tatto delle sue mani. Lo sguardo della Faranda (Daniela Marra), i suoi primi piani, lo scomposto corpo dei suoi gesti colpiscono e non lasciano tregua attraverso un uso del colore univoco che scava e inquieta. Diversamente Nora Moro/Margherita Buy disegna lo spazio attraverso la ricerca di aria, di movimento, di ferma solitudine, di capacità di scelta positiva, come se ispirata davvero da un credo cristiano superiore che non consola, quanto potenzia la capacità di lettura amara del partito, della chiesa, del paese, con un’umanità che si riversa internamente verso la famiglia, il marito, i figli, la vedova di un uomo della scorta. Davanti ad una se stessa che addirittura si scusa al telefono con il brigatista che le sta dando la notizia definitiva di un esito atteso, quanto temuto, non può non interrogarsi su quella sua incapacità d’odio. I funerali privati solo intravisti, come è giusto che sia, sono però una scelta politica chiara, lampante, un gesto carico di forza e di opposizione (il controcampo dei funerali mostrati in Buongiorno, notte).

Molti i piani attraversati e tenuti insieme da Bellocchio, molti i particolari su cui soffermarsi, la profondità entra come con un laser a scandagliare ciò che è Stato. E come al solito il realismo sposa l’immaginazione e insieme creano il senso nella sua complessità. Non è un caso neanche il contrasto del ritmo della canzone del trailer Porque te vas di Jeanette (1974) a segnare il distacco dalla tragedia incombente, un po’ come avviene nelle parole del testo.

La fotografia, la musica, la scenografia, la sceneggiatura, i costumi, il montaggio concorrono tutti alla realizzazione, così come tutti gli altri protagonisti, compresa la città di Roma attraversata in maniera mirabile. Difficile racchiudere Esterno notte… in un solo finale, in una recensione.


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