Ken Loach

Commedia

Ken Loach Il mio amico Eric


2009 » RECENSIONE | Commedia | Commedia
Con Steve Evets, Éric Cantona, Stephanie Bishop, John Henshaw, Gerard Kearns, Stephan Cumbs



30/03/2023 di Roberto Codini
Sam, Eric e gli amici immaginari I destini incrociati di Woody Allen e Ken Loach

“Senti, figliolo: ci sono altre cose nella vita oltre alle femmine, e una è la
coscienza di esserti comportato bene con un amico. Pensaci su”.
(Woody Allen, “Provaci ancora, Sam!”, 1972)
“La più nobile vendetta è il perdono. La mia azione migliore non è mai stato un
gol, ma un assist. Esistono sempre più strade di quelle che sembra. "Devi
fidarti dei tuoi compagni!”
(Ken Loach, “Il mio amico Eric”, 2009)

Ci sono due film, uno del 1972 e l’altro del 2009, di due registi molto diversi, anche se amati dallo stesso pubblico, Woody Allen e Ken Loach, uniti da un filo invisibile, immaginario come ciò che li unisce: l’amico immaginario, appunto.
In “Provaci ancora Sam!” Sam è un ragazzo introverso, che ha il mito di Humprey Bogart ma non ha successo con le donne, sogna di essere come lui mentre succhia cibi surgelati e si imbottisce di aspirine. Fino a quando il sogno si avvera: Bogart si manifesta ed inizia a dialogare con lui dispensando consigli e incoraggiandolo: “Le donne sono creature semplici: io non ne ho mai incontrata una che non capisse il significato di una bella sberla sul grugno, o di una pallottola calibro 45”. Ma Sam non è Bogart e quando bacerà la ragazza che gli piace (Diane Keaton) lei fuggirà. Ma poi tornerà indietro.

In “Il mio amico Eric” Eric Bishop è un postino mollato dalla moglie e che vive con pochi soldi insieme al figlio che si caccia spesso nei guai ed è un uomo debole e remissivo che non riesce ad imporsi sugli altri e a dominare la sua vita. È un tifoso sfegatato del Manchester United e tiene in camera il poster del suo idolo, l’attaccante Eric Cantona, campione venerato dai tifosi: “Noi abbiamo il nostro Dio…la salvezza lui ci dà…noi abbiamo il nostro Dio…e il suo nome è Cantona!” Fino a quando, un giorno, Cantona apparirà al suo omonimo, spronandolo a reagire alle prepotenze e a farsi rispettare: “Devi imparare a dire no! No! Nooo!” Gli urla in una scena memorabile del film mentre lui la ripete
sotto lo sguardo attonito del figlio. Cantona non è stato solo un calciatore.
Cantona è un mito. “Io non sono un uomo. Sono Cantona”. E quando Eric gli chiederà di commentare quale è stato il suo gol più bello, Cantona risponderà che non è stato un goal ma un assist. Perchè esistono sempre più strade di quelle che sembra. E perchè devi fidarti dei tuoi compagni.

Nei due film l’amico immaginario, un “demone socratico” che rappresenta la coscienza del protagonista un po' come l’Armadillo di Zerocalcare (che è anche un alter-ego) risulterà decisivo per la soluzione degli umani dilemmi degli sfortunati protagonisti: Sam non ruberà la donna al suo amico e Eric, con l’aiuto degli amici e colleghi di lavoro, riuscirà a sconfiggere un temibile criminale.
Il dialogo tra Sam e Linda nel finale del film è la prova dell’amicizia. “Noi sappiamo che il tuo posto è con Dick: sei parte del suo lavoro, gli dai la forza di andare avanti. Se quell' aereo decolla e tu non sarai con lui, te ne pentirai. Magari non oggi, forse neanche domani, ma presto, e per il resto della tua vita”.

“Oh, Sam, che belle parole…"
“Sono di Casablanca: ho aspettato tutta una vita l' occasione di usarle!”
E Bogart così congederà Sam:
Beh... Non avrai più bisogno di me in futuro: ormai non ho più niente da
insegnarti che tu già non sappia”.
“Già, penso di no: il segreto sta nel non essere te, ma me. Tu sei bassino e
piuttosto bruttino, ma anche io sono abbastanza basso e brutto per avere
successo per conto mio”.
“Provaci ancora, Sam!”

E nel finale de “Il mio amico Eric” Eric non avrà più bisogno di Cantona, perché ha segnato il suo goal più bello grazie all’assist degli amici.

Woody Allen e Ken Loach sono due registi molto diversi, il primo cantore dell’upper-class newyorkese e delle sue nevrosi, il secondo, “Ken il rosso”, regista militante della classe operaia che non va in Paradiso; eppure capaci di rendere eroica la figura del perdente e di raccontarci che spesso il fallimento, come insegna il Maestro Yoda di “Star Wars”, è il più grande maestro.

I due film, così lontani e così vicini, attraverso la figura dell’amico immaginario ci ricordano che da soli non siamo niente, che il noi è più forte dell’io e che bisogna fidarsi degli amici. “Bisogna avere fiducia nella gente!” ammoniva Tracy a Isaac nel finale del bellissimo “Manhattan”.
Negli amici sicuramente. Anche se non sono immaginari.


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