Un reale fatto di cronaca (durante una rapina ad una orologeria un ladro era rimasto bloccato all’interno per via dell’allarme e a quel punto aveva ucciso il proprietario prima di suicidarsi) e la sceneggiatura del suo mentore cinematografico Abbas Kiarostami ( si parte da questa situazione d’impasse per poi procedere a ritroso nella storia) sono alla base del nuovo film del regista iraniano Jafar Panahi “Oro Rosso”, Premio della Giuria nella Sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2003. E dello stile cronachistico e documentario così come dell’essenzialità ed asciuttezza del cinema di Kiarostami è imbevuta questa sorta di thriller (lento e silenzioso) dell’animo umano che cerca di far luce sulle ragioni di un suicidio (e di un malessere di vita, sociale e politico) che vede protagonista il giovane Hossein (il non professionista Hussain Emadeddin, un gigante buono ed ambiguamente pericoloso!). Consegna pizze a domicilio e tutte le sere percorre in lungo e largo le vie dei quartieri ricchi riuscendo ad intravedere la “bella vita” che si conduce dietro quelle porte. Sottilmente affascinato dagli agii e luccichii di una vita altolocata , Hossein ( e con lui il malessere di un’umanità perennemente fuori posto) lentamente matura il disgusto per una vita di miserie e precarietà che non si merita neanche l’umano rispetto per una condotta di vita comunque dignitosa ed onesta. E nello sguardo del gioielliere che gli nega l’accesso nel suo negozio a causa degli abiti miseri che indossa, Hossein (seguito pedissequamente da una regia impietosa ed ossessiva e servito da una scrittura a volte troppo didascalica e pedante) sprofonda l’amarezza e silenziosa disperazione di un’esistenza triste solo a tratti illuminata dalla verità e sincerità di un’umanità che per quanto povera ed umiliata reclama ad alta voce il suo diritto di esistere...