Bong Joon-ho

Drammatico

Bong Joon-ho Parasite - NUOVI SPUNTI


2019 » RECENSIONE | Drammatico
Con Song Kang-ho, Sun-kyun Lee, Choi Woo-Sik, Hyae Jin Chang



10/01/2021 di Alessandro Lonardo
Bong Joon-ho è un regista che fa parlare di sé sia in patria che all'estero da diversi anni e in particolar modo dall'uscita di The Host (2006), uno dei maggiori blockbusters coreani.

Nel 2013 realizza Snowpiercer, che vede un cast prevalentemente anglofono e di cui fa parte Tilda Swinton, attrice che riveste un ruolo di primo piano anche nel successivo Okja del 2017.

Due anni dopo esce Parasite, film ambientato a Seoul e con attori coreani, ottiene un grandissimo successo di critica che gli permette di aggiudicarsi la Palma d'Oro a Cannes e quattro premi Oscar: miglior regia, miglior sceneggiatura originale, miglior film internazionale e miglior film (prima opera in lingua non inglese a riuscirci).
La vicenda racconta di una famiglia povera di Seoul che vive di espedienti e abita in una seminterrato. Essa è composta dal padre Ki-taek, dalla madre Chung-sook, dalla figlia Ki-jang e dal figlio Ki-woo. La svolta nella loro esistenza sembra avvenire quando Ki-woo, grazie ad un amico, trova lavoro presso la facoltosa famiglia Park.
 
Con Parasite, Bong Joon-ho prosegue la sua critica ironica e satirica alla società coreana. Se in opere precedenti, come The Host e Madre, l'attenzione era focalizzata sul rapporto-scontro delle classi più umili con comunità ed istituzioni ostili, in questo caso Bong Joon-ho racconta una storia in cui i poveri, abbandonati a loro stessi, entrano in relazione con i ricchi, rappresentati da una famiglia isolatasi in una sorta di casa-castello.
Ki Woo e i suoi parenti riescono a penetrarvi anche perchè posseggono doti fuori dal comune che non riescono a sfruttare per trovare un impiego stabile che permetta loro di programmare un qualsiasi futuro e quindi di emanciparsi dalla loro condizione di povertà. Ciò accade sia per loro indolenza che per l'inadeguatezza delle istituzioni che non sembrano fornire risposte adeguate al problema della disoccupazione (che in Corea del Sud tocca soprattutto i giovani laureati, costretti ad emigrare).
 
A questa critica di aggiunge una totale mancanza di collaborazione ed empatia specialmente tra individui della stessa classe sociale che al posto di aiutarsi e cercare insieme di migliorare la propria ed altrui condizione, si curano solo di se stessi e dei loro famigliari. Addirittura si scontrano per aggiudicarsi la benevolenza dei ricchi e di conseguenza provare ad assicurarsi un lavoro.
 
Nonostante il film mostri che esiste interdipendenza tra classi, la distanza tra esse resta incolmabile ed è simboleggiata dalla bipartizione alto-basso. Infatti, se i Park vivono sulle colline di Seoul, a contatto con cielo e natura, chi si trova economicamente in difficoltà abita bassifondi e scantinati e fa fronte ai problemi della quotidianità senza alcun supporto. A tal proposito è emblematica la sequenza dell'alluvione nella quale non vi è traccia di istituzioni che vengano in aiuto degli abitanti del quartiere.
Bong Joon-ho rappresenta così una realtà in cui nessuno è esente da colpe e le classi sociali, piuttosto che collaborare e darsi supporto, sembrano destinate a sfruttarsi e distruggersi a vicenda.
 
Questi temi si ritrovano, seppur declinati in maniera differente, in altri film sudcoreani; ad esempio in Burning di Lee Chang-dong del 2018, a conferma del fatto che la precarietà del lavoro, l'inadeguatezza delle istituzioni e l'incontro-scontro tra classi ed individui sono problemi percepiti e di cui diversi registi sudcoreani contemporanei sentono la necessità di parlare. Bong Joon-ho, per farlo, non sceglie un genere specifico, ma compie un ibridazione tra black comedy, dramma e grottesco. Sono infatti diverse le situazioni assurde, surreali e fra queste vale la pena ricordare la sequenza di Ki-jung che fuma seduta sulla tavoletta del water per impedire che trabocchino acqua ed escrementi a causa dell'alluvione in corso.

Parasite aldilà di momenti originali come quello appena descritto e scelte narrative che si allontanano da un cinema mainstream o Hollywoodiano, inteso nella sua accezione più commerciale, è un film dal gusto classico perché punta alla chiarezza dell'esposizione. Anche la musica intradiegetica contribuisce a questo scopo poiché, oltra a raccordare le immagini, dialoga con esse e ne intensifica il senso.
 
La fluidità che caratterizza il cinema di Bong Joon-ho rende la visione del film scorrevole e coinvolgente. E ciò avviene grazie all'utilizzo di movimenti di macchina costruiti attraverso travelling, panoramiche e all'alternarsi di sequenze spezzate, ritmate e momenti dilatati, costruiti attraverso long take e slow motion.
Il montaggio svolge così un ruolo chiave, apprezzabile in segmenti complessi in cui l'ordine degli eventi è stravolto, come accade nell'episodio della truffa ai danni della governante in cui flashback, tempo presente e flashforward si mischiano tra loro.
Molto interessante anche l'uso del montaggio formale, ravvisabile in almeno due occasioni: nella prima serve per unire l'azione di Ki-taek, che avvolge con lo scotch l'uomo che vive nel bunker, a quella della Signora Park intenta a girare gli spaghetti;
nella seconda invece il regista sfrutta il montaggio formale per creare una transizione tra l'acqua che riempie il seminterrato e quella che allaga la strada, quindi tra una ripresa subacquea e un plongè.

Grazie a queste e ad altre scene dal forte impatto visivo, create tramite particolari angolazioni oltre ai già citati movimenti di macchina, il regista sottolinea la propria presenza. Essa è avvertibile soprattutto nelle sequenze di casa Park, dove Bong Joon-ho segue i personaggi muovendosi negli spazi dell'elegante abitazione, caratterizzata da colori morbidi che contrastano con il verde degli scantinati e dei seminterrati.
Il cromatismo tendente al saturo, presente in tutto il film, non è però realizzato solo dai colori degli interni ma anche dalle luci colorate, come quelle arancioni che illuminano nottetempo i bassifondi di Seoul.
 
Ultimo elemento di Parasite che vale la pena sottolineare riguarda la scelta dei diversi punti di vista. Alla narrazione oggettiva del regista si aggiunge quella soggettiva di altri personaggi, in particolare di Ki-woo e Ki-taek, che tramite le loro voci contribuiscono a connotare il finale del film all'indeterminatezza.
 
In conclusione, Parasite risulta quindi un'opera che conferma l'interesse di Bong Joon-ho nel raccontare in maniera sarcastica, pessimista e, in questo caso, particolarmente cruda, la Corea del Sud.
La critica alla società confuciana e patriarcale, presente in altri film e condivisa da diversi autori coreani contemporanei, viene accantonata a favore di un'analisi attenta alla relazione tra classi e che non scade in una semplicistica bipartizione tra buoni-poveri e ricchi-cattivi.
Supportato da un ottimo cast e da una sceneggiatura di alto livello, Bong Joon-ho riesce a realizzare un'efficace sintesi tra cinema classico e d'autore confermando la sua eccezionale capacità narrativa.
 

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