Alexander Hawkins Ensemble

live report

Alexander Hawkins Ensemble Milano / Teatro Manzoni

27/11/2016 di Vittorio Formenti

Concerto del 27/11/2016

#Alexander Hawkins Ensemble#Jazz Blues Black#Jazz Jason Yarde Otto Fischer Dylan O Bates Neil Charles Jon Scott

Classe 1981 Alexander Hawkins, pianista e compositore inglese, é senza dubbio una delle voci più interessanti del jazz contemporaneo. Avviato agli studi classici Alexander si dedicò poi al suo genere di musica senza seguire un'educazione istituzionale specialistica; la sua convinzione era che i corsi ufficiali risultassero troppo "prescrittivi" e pertanto avrebbero limitato la ricerca personale. Un paradigma che ricorda quello applicato da un altro grande del piano, Richard Muhal Abrams, che fece del suo lavoro la base di un'inossidabile originalità.

Hawkins si presenta accompagnato da Jason Yarde (sax alto e soprano), Otto Fischer (chitarra elettrica), Dylan O Bates (violino), Neil Charles (contrabbasso) e Jon Scott (batteria); musicisti giovani, freschissimi, dotati di curriculum inappuntabili che li collocano al vertice dell'attuale scena anglosassone.

La caratteristica fondamentale dell'arte di Alexander é la capacità di esprimersi da uomo del XXI secolo echeggiando basi tradizionali rielaborate al servizio di un linguaggio modernissimo. Il suo primo mito, Art Tatum, risuona in molti passaggi a cascata del suo fraseggio; pillole blues o da Tin Pan Alley si aggiungono in sottofondo come ingredienti di un approccio che privilegia il minimalismo, la progettazione di strutture particolari e un'organizzazione del gruppo lontana anni luce dai classici stilemi a chorus solistici in sequenza; i brani sono corali, compatti, studiati attentamente ed orientati a un linguaggio attuale, a tratti apparentemente ostico ma in realtà chiarissimo e tutt'altro che banale.

Questo aspetto emerge già evidente nell'intro che il pianista esegue da solo, senza la band; inizio a note staccate, tenute col pedale in sospensione a pause ben calcolate e proposte con un'estetica tipicamente da musica contemporanea; segue un'evoluzione tra arpeggio e fraseggio a cavallo tra jazz e classica creando un caleidoscopio di umori in alternanza. Trillati e alternanze di dinamiche (forti e piani, crescendo e diminuendo) completano un uso intelligente di un lessico trasversale alla storia dell'arte musicale.

I successivi passaggi col gruppo elaborano poi compiutamente il progetto musicale del leader che, come detto, assegna importanza alla struttura e a una visione particolare dei ruoli.

La prima (struttura) si basa su due elementi che si alternano: gli unisoni e momenti concertanti. Gli unisoni sono eseguiti generalmente da TUTTO l'ensemble facendo ricorso a  riff sostenuti collegialmente ma pronunciati principalmente dal contrabbasso; gli ostinati si ripetono ma evolvono gradualmente con uno schema minimalista. Si aggiungono via via note o si modificano intervalli / sequenze con un effetto che mantiene la compattezza ma evita la ripetitività; un elemento della performance che ci sentiamo di sottolineare come caratterizzante.

A queste fasi vengono alternati interventi di più strumenti, tipicamente quelli strettamente melodici (fiati e violino), che si allontanano dalla base con frasi brevi, sovente molto spezzate, con flessibilità che mantiene vivo l'interesse all'ascolto. Non si tratta di cavalcate improvvisative o di virtuosismi da circo; sono momenti più da "cameralismo radicale" in stile Henry Cow, giusto per citare un riferimento.

La ripetuta alternanza di questi momenti conferisce ai pezzi un aspetto da suite, articolata su movimenti precisi più che dilatata su strutture aperte.

La seconda caratteristica (visione dei ruoli) consiste nell'uso atipico dei musicisti ai quali viene richiesta una sinergia piuttosto che un'energia. I sax di matrice squisitamente metropolitana si interallacciano, e il verbo é usato nello stretto senso semantico, con il fiddling di un violino spostato sui toni alti, pizzicati o ribattuti e distante da glissandi di tipo classico. E' una sequenza di colpi o colpetti sonori che rappresenta l'enfasi di alcune voci rispetto alle altre. La chitarra lavora a cavallo tra caraibico e toni anestetizzati in stile progr, più vicini al Robert Fripp dei primi lavori che non ai passaggi aperti del guitar jazz tradizionale; comunque anche in questi casi non si tratta di cavalcate individuali dato che Fischer, il chitarrista appunto, opera sempre in duetto quantomeno col basso.

A questo va aggiunto un drumming modernissimo, in stile Jim Black con un approccio "musicale sparso" alla Paul Motian, che crea una base in continuo movimento e risalto.

In nessun caso comunque si produce la classica e spesso desueta separazione tra solista e accompagnamento; il combo resta sempre un organismo collettivo pulsante.

Il leader mantiene comunque un ruolo suo specifico; in primis é il vero padre del tutto, il compositore che richiede attenzione al canovaccio scritto, consegnato ai musicisti in partiture sulle quali tutti tengono gli occhi ben concentrati. Inoltre lavora come regista dando cenni e segnali che garantiscono la coerenza degli interventi;  infine assicura contributi di stampo diverso rispetto al resto del gruppo; quando Hawkins entra lo fa in stile Tatum / Taylor con molte colorazioni e una pressione ritmica dominante e trascinante.

Insomma, concerto estremamente stimolante e illuminante conclusosi con un eccellente bis di un brano di  Steve Lacy; da un lato a conferma dell'interesse da dedicare a questo artista e dall'altro a riprova della validità di questa rassegna che da anni continua davvero a selezionare voci importanti, originali e rappresentative della musica dei nostri tempi.

Visto il misero scenario che caratterizza l'attenzione per il jazz altrove (Torino, Pavia, Gallarate sono solo alcuni dei tristi esempi di attuale depressione) speriamo che almeno qui si tenga duro!

E se nel frattempo volete approfondire cercate "Step Wide, Step Deep" e "All there, ever out".....