Laura Riget

In Svizzera le spese militari a referendum, intervista a Laura Riget

12/05/2020 di Luigi Lusenti

Analisi difesa è una rivista del sottobosco, non tanto sotto, del comparto economico italiano impegnato nella produzione e vendita delle armi. Uno degli ultimi editoriali del direttore Gianandrea Gaiani ha un titolo significativo: "Il virus non ferma le guerre ma ridurrà le spese militari. E non è una buona notizia".

Nello stesso editoriale leggiamo: "In un mondo in crisi economica forse il coronavirus determinerà un rallentamento del processo di globalizzazione, come ritengono alcuni economisti, ma certo la lotta sui mercati sarà più selvaggia e senza esclusione di colpi. Meglio quindi non ridurre le capacità di difenderci e di tutelare interessi nazionali, quote di mercato e aree di influenza."
Al di là delle condivisibili o meno valutazioni di Gianandrea Gaiani, rimane il fatto che l'ultimo rapporto Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) fornisce notizie e dati diversi.

Il rapporto (per onestà di informazione redatto prima dell'epidemia di CoronaVirus) registra, nel 2019, un incremento, sull'anno precedente, del 3,6% raggiungendo la cifra record di 1917 miliardi di dollari. Ognuno di noi, a livello mondiale, spende 259 dollari all'anno per l'acquisto di armi.
La situazione non cambia neppure in Italia. La stima è che il nostro paese impegnerà per le spese militari, nel 2020, circa 26,3 miliardi di euro. La crescita sul bilancio 2019 è di oltre il 6% (quasi un miliardo e mezzo in più).
Sono cifre che lasciano stupiti, specie in questa situazione pandemica, con gli Stati alla disperata ricerca di soldi e con sempre più persone spinte nell'area dell'indigenza. Forse la drammaticità dell'oggi potrebbe rilanciare le battaglie di tante forze e organizzazioni che da sempre hanno nel mirino le spese (gli sprechi?) militari. E non saranno solo petizioni o affermazioni di principio. Per molti paesi la discussione del prossimo bilancio potrebbe diventare un banco di prova.

Certamente lo sarà per la Svizzera che, come da tradizione, sottopone al giudizio degli elettori gran parte delle decisioni prese a livello dei vari Parlamenti cantonali e federali. Così il 27 di settembre il piccolo Stato alpino chiamerà i cittadini a pronunciarsi sull'acquisto di nuovi aerei da difesa militare per un costo di oltre 6 miliardi di franchi.

Ne abbiamo parlato con Laura Riget, giovane responsabile del Gruppo per una Svizzera senza Esercito. Il Gruppo ebbe una grande visibilità con il referendum del 1989 quando chiese l'abrogazione dell'esercito. Ma di questo e altro si parla nell'intervista. Aggiungiamo solo che Laura Riget, oltre al ruolo di Coordinatrice del Gruppo per una Svizzera senza Esercito nel Canton Ticino, è anche copresidente del Partito socialista ticinese e membro del Gran Consiglio del Canton Ticino.


Prima di tutto può spiegarci cosa è il "Gruppo per una Svizzera senza esercito"?
Il Gruppo è una associazione attiva a livello svizzero da diversi decenni che si batte per l'abolizione dell'esercito e per l'abolizione dell'obbligo di leva che impone a tutti i giovani il servizio militare. Vogliamo, quindi, non solo abrogare l'esercito ma impegnare la Svizzera a una politica orientata al pacifismo e alla politica attiva della neutralità.

Il "Gruppo per una Svizzera senza esercito" opera dal 1982, ma è nel 1989 che accresce la sua fama con il referendum per l'abolizione dell'esercito.
Si, il GSsE divenne molto attivo con la proposta di abrogazione dell'esercito. Proposta che non passò ma il fatto che più del 35% degli elettori avesse votato a favore, con addirittura due Cantoni, Ginevra e Giura, dove il Si superò il 50%, fu uno shock per tutta la politica federale che si trovò immediatamente obbligata a grandi cambiamenti rendendo il servizio militare meno restrittivo.

Fino a quel 26 novembre del 1989 quando dalle urne uscì un risultato incredibile, l'esercito, sia dal punto di vista della retorica nazionale, sia dalla pratica quotidiana, era considerato un pilastro della costruzione federalista che tiene assieme componenti nazionali molto diverse. E' ancora così?
Quella votazione è stata uno spartiacque e ha messo in dubbio l'idea dell'esercito come collant nazionale. Subito la sera del voto, le istituzioni politiche hanno riconosciuto che quel 35% di favorevoli all'abolizione dell'esercito rappresentava una grande sconfitta per la retorica militarista.
Ne aveva messo in dubbio la sua sostanza fino alle radici. Fu introdotto il sistema del servizio civile come alternativa a quello militare. E pure la possibilità di chiedere, attraverso referti medici o psicologici, l'esonero totale. E sempre più giovani fanno questa richiesta. Io credo che la coesione nazionale debba passare da altri elementi che non abbiano al loro centro il militare e la retorica militarista.

Vi sono più domande per il servizio civile o per l'esonero tout court?
Credo sia più praticata la scelta del servizio civile ma, onestamente, non conosco i numeri.

Ora c'è una nuova proposta referendaria che, in settembre, chiamerà i cittadini svizzeri alle urne.
Esatto. In settembre voteremo sull'acquisto di nuovi aerei da combattimento. Il credito di acquisto è stato approvato dalla maggioranza di centrodestra al Parlamento. E si parla di una cifra di 6 miliardi di franchi a cui vanno aggiunti svariati miliardi per l'esercizio e la manutenzione di questi aerei. Noi pensiamo che questi soldi andrebbero usati in modo più proficuo in altri campi: quello sanitario, quello formativo, quello dell'economia. E poi per questa pandemia mondiale questi velivoli sono inutili dal punto della sicurezza, non sono necessari. Nella situazione attuale è chiaro che più che da una invasione aerea o da una guerra tradizionale sono altri i rischi da cui difendersi.

Voi dite: "l'attuale flotta dell'aeronautica militare è più che sufficiente a difenderci". Avete cambiato idea sulla questione delle armi?
Come Gruppo per una Svizzera senza Esercito siamo contrari all'acquisto di qualsiasi veicolo militare e a tutti i costi riferiti a questa voce. Ma ora il problema è questa richiesta di acquistare nuovi aerei. E a questo dobbiamo rispondere. Nella coalizione che ha promosso il referendum ci sono altre forze, come il Partito Socialista, con una posizione intermedia. Non sono per l'abolizione dell'esercito ma rifiutato questa spesa ulteriore di 6 miliardi di franchi svizzeri.

Per la Svizzera essere fuori da qualsiasi alleanza politica e militare cosa significa dal punto di vista della difesa del paese?
Noi non pensiamo che sia necessario possedere un sistema di difesa militare. La miglior difesa è una politica di neutralità, cioè non immischiarsi in eventi militari, guerre o dispute a livello internazionale ma proporre la via diplomatica e della neutralità. In Svizzera la politica della neutralità è una delle grandi tradizioni del paese e noi ne andiamo fieri. Per intenderla e praticarla nel vero senso della parola noi crediamo che si debba non avere un esercito.

Come vi preparate a questo referendum?
Stiamo ancora discutendo su come gestire la campagna referendaria. C'è l'incognita del CV19 e quindi non sappiamo ancora se sarà possibile una vera campagna di strada, come avviene di solito quando si vota: volantinaggi, bancarelle, stand informativi oppure se sarà di più una campagna on line. Stiamo approfondendo i vari scenari. Comunque, ritenendolo un tema molto importante, cercheremo il massimo di visibilità.

Vi sono due schieramenti sul referendum o ve ne è qualcuno in più?
Adesso è ancora un po' preso per dirlo perchè non è ancora cominciata la campagna ma durante la raccolta delle firme per chiedere il referendum c'erano solo due posizioni, quella del Gruppo per una Svizzera senza Esercito alleato al partito socialista e al partito dei verdi. Gli altri gruppi politici si sono espressi a favore della spesa per l'acquisto dei nuovi vettori militari.

Che previsioni fa per il referendum?
E' sempre difficile fare previsioni ma credo che l'attuale drammatica situazione possa favorire chi dice che queste spese sono assurde. Oggi i vari scenari di rischio non sono certo quelli di una invasione da parte di un esercito straniero ma, piuttosto, le questioni sanitarie e quelle ambientali. E contro questi fenomeni un esercito come il nostro non ha nessun senso.