Universo Marvel

L’evoluzione della Marvel e i supereroi “umani, troppo umani”

18/05/2023 di Roberto Codini

La Marvel ci ha abituato da anni alle storie tratte dai fumetti, con i cosiddetti “supereroi” che a turno devono salvare l’umanità dai cattivi perchè, come insegna Spider-man, “un grande potere comporta una grande responsabilità”. Roberto Codini ci guida nell'universo Marvel con una lettura sociologica.

La Marvel ci ha abituato da anni alle storie tratte dai fumetti, con i cosiddetti “supereroi” che a turno devono salvare l’umanità dai cattivi perchè, come insegna Spiderman, “un grande potere comporta una grande responsabilità”.

Così abbiamo passato in rassegna Iron Man, Hulk, Thor, Spider Man (in più versioni), più recentemente, i singoli sono diventati squadra, e, poiché l’unione fa la forza l’individualismo dell’eroe solitario ha lasciato il posto a una dimensione collettiva, quella degli Avengers, un gruppo inizialmente composto da pochi supereroi (ma sarebbe meglio dire: agenti) che, con il passare del tempo, e il crescere delle minacce galattiche, è cresciuto, fino a diventare una vera e propria Armata Brancaleone dello Spazio, un gruppo di disadattati, apocalittici e disintegrati, e forse proprio per questo capaci di grandi imprese.

Con il trascorrere degli anni, la distanza dagli omonimi fumetti è aumentata e la narrazione bene contro male, buoni contro cattivi ha lasciato spazio ai problemi individuali, alle storie personali e familiari, proprio come era avvenuto con Star Wars, la madre di tutti i film del genere, che è soprattutto una saga familiare, con padri, figli, fratelli e sorelle sospesi tra la “Forza” e il suo “Lato oscuro”, consapevoli che il passaggio da uno stadio all’altro è sempre possibile.

La caratterizzazione psicologica dei supereroi, sia nella loro dimensione individuale sia in quella collettiva (Avengers) non si è limitata ai personaggi postivi, ai “buoni”, ma ha investito anche la figura del villain, il cattivo, che è tale per un motivo che, se non appare giustificato, conferisce al personaggio una statura morale inedita.

Questo processo narrativo evolutivo ha portato alla creazione di un capolavoro cinematografico: Avengers, Infinity War, un vero e proprio poema epico, con praticamente tutti i protagonisti dell’Universo Marvel impegnati a fare fronte comune contro la nuova minaccia della Galassia: Thanos, potentissimo leader dei cattivi, che in realtà, avendo subito la perdita di tutti gli affetti più cari a causa della distruzione del suo pianeta, decide di risolvere il problema della sovrappopolazione eliminando la metà degli abitanti del pianeta. Per fare ciò si impadronirà delle “Gemme dell’Infinito” e, una volta compiuto il suo destino (che è anche il destino dell’universo), potrà sedersi a contemplare per sempre il sole. Ci riuscirà solo in parte, perchè nell’ultimo capitolo della saga, Avengers: Endgame, la scoperta del “Multiverso” consentirà un viaggio nel tempo che riporterà in vita alcuni personaggi: “se questo mondo vi sembra brutto, dovreste vedere gli altri”, scriveva Philip Dick.

La figura di Thanos è controversa, un cattivo che non è forse poi così cattivo, che ama le sue figlie e che in fondo vuole risolvere un problema planetario, quello della sovrappopolazione. La scelta di chi dovrà eliminare non sarà selettiva, ma casuale, in Thanos non c’è alcun pregiudizio, ma solo la volontà di porre fine a un mondo destinato a eterne sofferenze: meglio una sofferenza ora che mille sofferenze poi. Proprio per la sua personalità e per la sua struttura, Thanos rischia di non sembrare un cattivo e anzi di essere addirittura compreso e addirittura amato. L’ultimo capitolo cercherà di porre rimedio a questo equivoco, restituendoci un villain davvero cattivo.

Ma proprio in questo equivoco risiede la genialità degli autori della Marvel: tutti i supereroi sono umani, troppo umani. Thor, che sarebbe un semidio, è un uomo con le sue fragilità, che obbedisce alla mamma e si lascia andare, diventando obeso. Iron Man espone la sua malattia. Il Dottor Banner, stanco di trasformarsi in un mostro verde quando si arrabbia o si emoziona, darà vita ad un Hulk più umano, amato dai giovani e che sembra un influencer. Lo stesso varrà per Capitan America e per lo straordinario Dottor Strange, mago e stregone potentissimo.

Non mancano le donne: su tutte la Vedova Nera e Capitan Marvel, la mora e la bionda, vere e proprie “Charlie’s Angels” della Galassia. Gli Avengers incontreranno poi I Guardiani della Galassia, una “banda scalcinata” non di ricercatori universitari (come il commissario di polizia chiamava i ricercatori ricercati di “Smetto quando voglio”), ma di creature buffe, ma potenti e, soprattutto, unite.

Gli ultimi due capitoli della saga degli Avengers, ai quali è seguita la pandemia mondiale del 2020, rendendo improvvisamente realistica la minaccia di Thanos, costituiscono un punto di arrivo, dal quale era molto difficile ripartire.

Ma la Marvel non si è arresa, e, con il Capitolo 3 de I Guardiani della Galassia, ci ha regalato un film meraviglioso, intenso e commovente, capace di emozionare come era riuscito a fare Avengers, Infinity War. L’ultimo capitolo dei Guardiani, che segna anche l’addio del creatore James Gunn, approdato alla rivale DC Comics, è un film sull’amicizia, sulla solidarietà e sulla diversità. Il protagonista è Rocket Raccoon, il procione (anche se lui non ama essere definito così) divenuto oggetto di esperimenti genetici insieme ad altri amici rinchiusi con lui in una gabbia da un cattivo vero, il perfido e psicopatico Alto Evoluzionario, che vuole impadronirsi del cervello di Rocket (che viene nominato come un numero, come durante l’Olocausto) ma, grazie all’aiuto dei suoi amici Guardiani della Galassia, non ci riuscirà, anche se perderà i suoi amici di prigionia, che però lo attenderanno nel Cielo. Il Volume 3 dei Guardiani della Galassia è una storia commovente, si piange davvero, di tristezza, ma anche di gioia, di straordinaria attualità, che ci ricorda che da soli non siamo niente e che solo insieme agli altri possiamo sopravvivere, come ci ha tristemente insegnato la pandemia.

Per tutti questi motivi i film della Marvel devono essere considerati a tutti gli effetti cinema d’autore, in grado di parlare di temi universali e di raccontare storie private con una rara e preziosa capacità narrativa, grazie anche alle solide sceneggiature che accompagnano la regia.

La Marvel ha saputo avvicinare i supereroi alle persone comuni, perché non servono i superpoteri se hai dei super-amici, i tuoi preziosi alleati, e forse anche per questo, quando guardiamo un film della Marvel, ci sentiamo un po' supereroi anche noi.