Alex Langer - un ricordo

Alex Langer - un ricordo


28/01/2017 - News di Luigi Lusenti

E' ritornata in queste settimana, in modo molto forte, l'attenzione per Alex Langer, "insegnante, intellettuale, traduttore, politico, giornalista, saggista, verde, europeista, leader di movimento": come lo descrive Mao Valpiana, presidente nazionale del Movimento Nonviolento, su Huffington Post del 2 luglio del 2016. Non ho mai conosciuto personalmente Alex Langer, l'ho intravvisto a qualche manifestazione, a qualche convegno ma le nostre strade sono corse parallele diventando, molte volte, una strada unica. Alex, di qualche anno più vecchio di me, era già dirigente di Lotta Continua quando io, giovanissimo, entrai in quella organizzazione. Poi da consigliere della Provincia autonoma di Bolzano e da consigliere regionale del Trentino Alto Adige, a cavallo fra il 70 e l'80, fu riferimento del movimento pacifista che si oppose ai missili della Nato, i Pershing e i Cruise, e a quelli del Patto di Varsavia, gli SS20. Io partecipai con grande fervore alle manifestazioni per la pace e contro il riarmo nucleare così come mi mobilitai parecchio contro la guerra in ex Jugoslavia. Langer, in quegli anni drammatici che fecero dei Balcani l'incubo oscuro dei fantasmi d'Europa,  si spese senza risparmio contro la "pulizia etnica" riandando a uno dei suoi convincimenti che lo avevano portato a rifiutare, anche ufficialmente, le appartenenze su base razziale.

Scrivo di queste esperienze parallele non per narcisismo ma per affermare come la storia di Alex Langer sia quella di una generazione che si è affacciata alla politica negli anni sessanta, una generazione troppo culturalmente ribelle  per accettare visioni del mondo cristallizzate e rigidamente catalogate, troppo indisciplinata per stare nei partiti tradizionali, troppo umanamente generosa, impegnata in  una militanza totalizzante. Alex Langer porterà questa riottosità fino  all'estremo del pensiero eretico: all'assemblea nazionale dei verdi, nel 1985, affermò esplicitamente che "gli ecologisti non sono né di destra né di sinistra".

I riferimenti di Alex, come quelli della galassia indistinta pacifista, verde, ambientalista, non violenta che guarda a Langer,  sono eretici, a partire da La Pira, Balducci e don Milani di cui tradurrà in tedesco, insieme ad Marianne Andre, ebrea austro-boema, il libro più famoso: "Lettera a una professoressa". Nel 1968, per la ricorrenza del 4 novembre, Alex Langer si prende una denuncia per vilipendio alle Forze Armate. Scrive in un articolo: " ...bisogna ripudiare ogni celebrazione di vittoria poiché questi tipi di vittorie sono state ottenute attraverso la brutale forza delle armi, e non hanno nessun significato morale. E conclude: "Un importante passo da intraprendere sarebbe quindi la diffusione della verità per giungere all’opposizione del militarismo che regna ancora nell’apparato democratico dello Stato. Il fine ultimo resta l’eliminazione dell’esercito…” .

Fondatore del movimento ambientalista in Italia, e in Europa, lo definì subito Ecopax. La pace, l'antimilitarismo, la non violenza sono sempre stati un suo riferimento fisso, da cui ripartire per ogni nuova speculazione intellettuale. E a cui ritornare sempre.

Anche nei giorni drammatici di Sarajevo e di Srebrenica quando, lui pacifista e non violento, chiese che ci fosse: "uso misurato e mirato della forza internazionale, e quindi nel quadro dell'ONU. Per fare cosa? Non certo per appoggiare alcuni dei contendenti contro altri, ma per fermare alcune azioni particolarmente intollerabili e far capire che c'é un limite, che la logica della forza non paga." Forse essere utopisti e realisti divenne per lui un carico tropo forte. La solitudine lo investi e così pose fine alla sua vita tragicamente, impiccandosi a un albero di albicocco vicino a Firenze.

Perché le riflessioni di Langer, e la sua militanza non divisibile dal suo pensiero, tornano oggi d'attualità? Forse perché ci ha offerto una visione pura, limpida, pulita dell'impegno sociale e umano, perché non ha mai accettato, anche quando ha avuto importanti incarichi politica, di essere diverso dalla gente e di rapportarsi alla gente. Forse perché non ha mai smesso di chiedere, alle persone tutte e non solo ai politici,  una rivoluzione morale e culturale. Ed è stato convincente e coerente, doti difficili, se non impossibili, da trovare in chi oggi si impegna nella gestione della cosa pubblica.