Luigi Tenco

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Luigi Tenco Sulle labbra di un altro

02/03/2012 di Ambrosia J. S. Imbornone

#Luigi Tenco

AA. VV.
Sulle labbra di un altro
Cd 1: Lontano lontano
Cd 2: Come fiori in mare
***“I giovani e in questo caso i cantanti, i divi, sono esseri viventi e non prodotti da lanciare sul mercato e da gettare via quando i gusti dei consumatori reclamano una nuova etichetta. Così avviene nel mondo dello spettacolo e soprattutto oggi in quello dell’industria discografica che va forte, a giri di miliardi. Chi è furbo capisce che le qualità sono difetti agli occhi del pubblico e che solo ciò che è generico e non agita le opinioni dei benpensanti va bene, è lecito”: queste parole potrebbero essere il commento ideale sulle dinamiche che portano spesso major e media ad investire su fenomeni usa-e-getta e a snobbare artisti che, anziché limitarsi a captare o anticipare e scimmiottare all’infinito i caratteri di una moda, osano cercare un’espressione più autentica di sé attraverso la musica e la ricerca in musica. Invece sono il commento di Salvatore Quasimodo sulle colonne de “Il Tempo” all’estremo j’accuse dell’addio di Luigi Tenco.

Era il 1967; ora siamo nel 2012, eppure appunto il disvalore della non-qualità, della facilità di riprodurre i canoni di una tendenza, che sia quella della musica d’accatto del momento o il “gergo” di una nicchia a suo modo hype, non sembra essere scomparso. Per questo la lezione morale e musicale di Luigi Tenco sembra ancora fondamentale: nel 1966 ai più illuminati apparve una sorta di papà delle canzoni di protesta, ma il suo era un impegno anticonvenzionale, che, senza urlare, senza lanciare slogan, dal proprio osservatorio personale rivendicava il diritto dell’artista di occuparsi di “problemi sociali” e di svelare ipocrisie e stupidi feticci della piccola borghesia italiana del boom economico. Analogamente nelle sue canzoni più intime ed esistenzialiste, Tenco si attribuiva il diritto, forse il dovere di usare un “linguaggio capito da tutti” (La ballata dell’arte): esce dalla torre d’avorio dei cantautori rinchiusi nel culto personalistico della propria raffinatezza verbale avulsa dal reale, e non solo è tra i più attenti anche alla sperimentazione in musica, ma canta le frustrazioni, le delusioni, il dolore con parole schiettamente, talora crudamente quotidiane. Questo lo rese allora voce di profeta che grida nel deserto, un personaggio scomodo da isolare come scontroso in vita e rimuovere dalle coscienze dopo una morte sconveniente. Questo lo rende oggi non una leggenda da dissacrare, ma un esempio da cui imparare, non per imitarlo, ma per completarne l’azione interrotta di ragazzo-pensatore.

Così nelle ventuno versioni della sigla del Premio Tenco, Lontano lontano, che nel 1989 smise di essere in musicassetta per diventare live, così come nelle riletture del secondo disco Come fiori in mare, si percepisce che ogni artista ha dato e preso: ha valorizzato una sfumatura, un aspetto, ha aggiunto un colore personale, nella voce e nell’arrangiamento, anche nell’essenzialità musicale della sigle dal vivo, ma ha anche assorbito, rispettato e restituito un’attitudine di sobrietà e ricerca.

L’asciuttezza lancinante di Tenco, lontana dal pathos infiorettato di romanticismo di maniera di altre canzoni degli anni ’60, è d’altronde ancora di un’efficacia sconvolgente.

Sulle labbra di chi è ricaduta? Il parterre di ospiti del primo disco è specchio di un’accezione di canzone d’autore che alla rassegna, nel nome di Tenco e grazie alla direzione artistica di Enrico de Angelis, è stata in questi anni ampia ed aperta, cercando di superare visioni pregiudiziali e limitanti, per assommare nomi storici (ad esempio quel Gino Paoli con cui già agli esordi del Premio si era voluto chiudere il passato, celebrandolo) e nuove consacrazioni (Vinicio Capossela, Sergio Cammariere), musicisti forse sottovalutati come Renzo Arbore e interpreti popolari come Massimo Ranieri.

Ma la sfida al futuro di un Premio che lo stesso fondatore del Club Amilcare Rambaldi volle non come tributo nostalgico al passato, ma come vetrina per cantautori non ancora affermati che, come Tenco, meritassero un ascolto attento, è evidente soprattutto nel secondo disco: esso dà voce ad artisti della nuova scena della canzone d’autore, offrendo a loro doverosamente il testimone per proseguire con i loro linguaggi musicali la rivoluzione dell’approccio antiretorico di quel ragazzo alla musica,  in cover che custodiscono il “brivido, inatteso e brutale, di una emozione che riemerge, in chi le realizza, dal senso di responsabilità di fronte alla storie delle idee di cui quel ragazzo è venuto a far parte” (gianCarlo Onorato).

Nel primo cd a cura di Enrico de Angelis la storia di Lontano lontano come sigla prende il via dalla proiezione in un tempo che distanzia naturalmente gli amanti nell’eleganza fluida e discreta della voce della Vanoni, accompagnata dal piano di Francesco Baccini, per continuare dall’altro capo del filo della memoria nell’intensità introversa di Gino Paoli, che 16 anni dopo è tornato a cantare la sigla per consacrare una volta in più tra i cantautori di raffinata pensosità Samuele Bersani: ne risulta una versione di una tristezza sobria e scarna, come se fosse “oggettiva” e scolpita nello spazio e nel tempo futuro che racconta.

Passando per la placida, soffusa e distante amarezza di Milva, si approda alla delicatezza informale del Professore con le maniche rimboccate, Roberto Vecchioni, che con sospiri di fiati ed evanescenze di synths accarezza la sofferta malinconia dell’addio e i colori sereni e struggenti dei tempi che saranno. Eugenio Finardi, accompagnato dalla chitarra, con la sua voce ruvida e ferma di Lontano lontano esalta il valore di ballata d’amore schiva, di annuncio di rimpianti e solitudine che è un “vai”, che pure vorrebbe essere un “resta”, mentre Gianna Nannini la fa esplodere in un pezzo punk-rock quasi liberatorio, come un assaggio gioioso di vendetta che si consumerà nella vanità della percezione della mancanza dell’amata ormai lontana.

Patty Pravo ci mette dentro la malia della bellezza di un tempo distante, mentre Vinicio Capossela fa delle memorie allontanate e riemerse materia per uno straniante, surreale circo triste. Con le lacrime segrete del clown apparente. Edoardo Bennato porta la sua armonica, Teresa De Sio i fiati di Roy Paci e Tony Cattaneo, Gilberto Gil asciuga il brano chitarra e saudade liquorosa da dipendenza dolceamara, diffusa dalla sua voce e dai fonemi nostalgici di una versione bilingue.

Appare quasi distratta e distrutta da un dolore secco la voce di Jannacci, mentre quella accorata di Venditti sospende la canzone su un tappeto impalpabile di synths, tipico di una certa tradizione pop d’autore italiana, tra arpeggi di chitarra acustica. Ancora: il tocco veloce e straniante del piano molto ritmico di Morgan evita comodi rifugi nel pathos da parte di Massimo Ranieri, diffondendo nell’aria un’ambigua solarità. Delicata risuona la versione di Simone Cristicchi, che si fa addio dolce e struggente, grazie anche ai ricami lievi e poetici del violino di Olen Cesari.

Renzo Arbore chiude il cd in salsa jazzata e in un’interpretazione trattenuta per autenticità, che non ha nulla dell’effervescenza dello showman, ma ha tutta la commozione dell’amico, uno dei primi a dire a Luigi che quella che definiva “stupidaggine melodica da non prendere sul serio” fosse un capolavoro. Arbore sente l’emozione di cantarla sull’ultimo palco che Luigi calcò, quello dell’Ariston dell’altro Festival, immeritatamente dotato di maggiore visibilità rispetto al Premio Tenco.

Ma Tenco non è morto davvero: dinnanzi alla sempre più grave, superficiale miopia dello showbiz resta fermo il suo esempio di coraggio e sperimentazione. Enrico de Angelis ha dichiarato nel 2007 nel volume Il mio posto nel mondo ecc.: “Si può dire che ai giovani autori Tenco ha lasciato la possibilità di accorgersi che in canzone si può dire qualunque cosa, senza farsi condizionare più di tanto dalle leggi di mercato o dai suggerimenti dei direttori artistici delle case discografiche e dei produttori”. Ebbene, libero da qualunque canone di genere e coerente fino in fondo con se stesso è senza dubbio gianCarlo Onorato, che è entrato per la prima volta all’Ariston del Tenco solo nel 2010 come ospite e profeta eretico rispetto all’ortodossia della tradizione cantautorale, nella calda, fluida passionalità delle sue sperimentazioni cesellate di suoni e parole. Ma è tornato alla Rassegna della canzone d’autore nel 2011 per presentare il secondo volume di Come fiori in mare e quindi in qualità di condottiero di una felice accolita di nuovi interpreti che si sono voluti confrontare con chi “ha saputo imprimere un moto nuovo al mestiere svolto da coloro che sentono il piacere, la responsabilità e persino il dolore a cui la musica chiama”, come Onorato dichiara nel libretto del secondo cd,  progetto di cui è stato direttore artistico.

Mi sono innamorato di te nella splendida versione di Gianmaria Testa si veste di notte e fumo leggero, di eleganze jazzate soffuse di fiati, spazzole e gocce di piano distillate rotonde, brillanti e pensose. Il mellotron di Stefano Amen dà un’aria trasognata, eppure bagnata di tristezza a Se sapessi come fai e alla sua schietta, ironica “invidia” per chi conduce il gioco reiterato dell’addio, forte della consapevolezza della dipendenza dell’amante e dei suoi sentimenti inesauribili e instancabili. Eccellente Carlot-ta, che nella morriconiana Quello che conta inietta brividi di synths tra le linee essenziali di un piano raffinato e tratteggia un ritratto di Tenco dotato di grande evidenza, recitando le sue parole, che la giovane e talentuosa cantautrice sembra sposare nella dichiarazione programmatica “la mia più grande ambizione è fare in modo che la gente possa capire chi sono io attraverso le mie canzoni”.

Nella Ballata della moda di Ettore Giuradei lieve, triste e amara risuona la precoce satira sul potere di manipolazione delle menti che possiede la pubblicità e sulla sua forza di trasformazione delle abitudini. “Vorrei essere là, però io non ci posso essere, perché non ho trovato ancora il mio posto nel mondo. […] Vorrei essere là senza dover difendere giorno per giorno sempre il mio diritto a vivere”: Cesare Basile offre una versione dolente e spettrale, tra lap steel e fremiti folk di mandola, di Io vorrei essere là, tributo al Tenco sociale e civile che guarda a ciglio asciutto e con i pugni chiusi all’inutilità della guerra e all’inaccettabile persistenza della povertà.

Un’aura quasi poetica hanno gli archi (tra cui violino e viola di Nicola Manzan) nella Ballata dell’arte, interpretata dalla voce pulita e dalla grazia ricercata di Alessandro Grazian; una sottile, quasi dissacrante ironia pervade la Prete in automobile dei sempre mirabolanti Mariposa, che riecheggia straniante, complici un theremin quasi da parodia di musica cinematica, sintetizzatori vintage e la… “batteria con la bocca”. Il loro storico ex-frontman Alessandro Fiori satura di suoni eterei e ambivalenti invece la ballata obliqua Isy; ripubblicata da Cuore a nudo (2007) è la Vedrai vedrai di Mauro Ermanno Giovanardi, minimale nei suoni, eppure nell’interpretazione rorida di un pathos umido di nodi in gola e speranze disperate.

Originale commistione di classico e sperimentale, suoni jazzati e toy piano, penombre e atmosfere seducenti è La ballata dell’amore proposta da Giulia Villari; suoni intimi e raccolti snocciola invece un altro brano carico di messaggi sociali come E si ci diranno, reinterpretata da Evasio Muraro e i Gobar tra trame di chitarre e cori folk dal sapore antico. Nella versione di Zibba assume cadenze reggae Cara maestra, pungente e potente accusa nei confronti delle contraddizioni, delle sperequazioni e delle ingiustizie della storia e di un quotidiano classista; la voce sicura e fonda del cantautore distilla in giusta dose sarcasmo, leggerezza e amarezza.

L’afflato malinconico e sospirato del canto e controcanto di Guido Maria Grillo, ricamato di acuti e vocalizzi che rammentano quasi Jeff Buckley e Matt Bellamy, è il punto di forza di una sofferta Più mi innamoro di te, che racconta l’infausta e lacerante sproporzione di un sentimento unidirezionale e il suo corredo di necessarie quanto vane illusioni. Calda la voce ed efficace l’interpretazione di Alberto Patrucco nella divertente satira dei costumi Vita sociale, tra corruzione e raccomandazioni, geniale l’orchestrazione di un delirio di synths con cui Iosonouncane rinnova l’impatto “critico” di una Ciao amore, ciao senza ritornello. Dulcis in fundo è lo stesso Onorato a chiudere la doppia raccolta sciorinando con profondità solenne la drammaticità sillabata dei versi di Se potessi amore mio e del desiderio impotente che narra, quello di elevarsi al di sopra dei propri limiti dinnanzi a un amore illimitato e persino incarnare il più generoso degli altruismi, quello della rinuncia all’amata: è un piccolo lago di rara bellezza in cui si specchia l’umana imperfezione nei suoi rammarichi, tra soffi sottopelle di sintetizzatori analogici e discreta, sentita magnificenza di piano.

No, questa collezione di sguardi d’autore, di riarrangiamenti che testimoniano emozioni vivide, idee vive e fantasie commosse, dimostra che Tenco non è morto. Non è morto invano se respira ancora negli occhi di chi ama con tanta passione la musica e le asperità dolorose della vita. Per dar loro voce.

CD1

01. 1989: Ornella Vanoni
02. 1990: Gino Paoli
03. 1991: Milva
04. 1993: Roberto Vecchioni
05. 1994: Eugenio Finardi
06. 1995: Fiorella Mannoia
07. 1996: Gianna Nannini
08. 1997: Francesco Guccini
09. 1998: Patty Pravo
10. 1999: Vinicio Capossela
11. 2000: Edoardo Bennato
12. 2001: Teresa De Sio
13. 2002: Gilberto Gil
14. 2003: Enzo Jannacci
15. 2004: Antonello Venditti
16. 2005: Massimo Ranieri
17. 2006: Samuele Bersani & Gino Paoli
18. 2007: Simone Cristicchi
19. 2008: Sergio Cammariere
20. 2009: Alice
21. 2010: Renzo Arbore

CD2

01. Gianmaria Testa – Mi sono innamorato di te
02. Stefano Amen – Se sapessi come fai
03. Carlot-ta – Quello che conta
04. Ettore Giuradei – Ballata della moda
05. Cesare Basile – Io vorrei essere là
06. Alessandro Grazian – Ballata dell’arte
07. Mariposa – Prete in automobile
08. Mauro Ermanno Giovanardi – Vedrai, vedrai
09. Giulia Villari – La ballata dell’amore
10. Evasio Muraro – E se ci diranno
11. Zibba – Cara maestra
12. Alessandro Fiori - Isy
13. Guida Maria Grillo – Più mi innamoro di te
14. Alberto Patrucco – Vita sociale
15. Iosonouncane – Ciao amore, ciao
16. Onorato – Se potessi amore mio