“L.A. Woman” è l’ultimo disco dei Doors con Jim Morrison, il testamento di una band che ha fatto scuola non solo nel rock ma anche nella filosofia degli anni Sessanta e Settanta.
Due storici eventi precedono l’uscita dell’album: il processo a Morrison per i fatti di Miami e l’ultimo concerto della band all’isola di Wight (1970). Per Morrison il periodo è critico e, frustrato dall’alcool, dal degenero fisico, dalla mezza condanna processuale, pensa di andarsene con Pamela nella Parigi degli amati poeti maledetti: lo farà appena terminate le registrazioni di “L.A. Woman” che esce, accompagnato da grande successo di pubblico e critica, mentre Jim è già nella capitale francese.
Molte bands attraversano sul finire della carriera un periodo di declino: i Doors del 1971 ci sono già passati con “The Soft Parade”, si sono ripresi con “Morrison Hotel” e tornano al vertice con un album ricco e completo come questo “L.A. Woman”, il più bel ricordo che Morrison e compagni potessero lasciare.
I quattro sono ispirati come non accadeva da tempo: Manzarek suona l’organo perfettamente, Densmore dà il ritmo vincente, Krieger inventa dei riffs favolosi e Morrison canta con una profondità che ha dell’incredibile, parlando direttamente allo stomaco. Blues e Rock danzano insieme: “The Changeling” dà la carica iniziale, “Love Her Madly” è la chicca commerciale, “L.A. Woman” è uno dei pezzi rock blues migliori di sempre. C’è altro: il lato oscuro della band sta in “Cars Hiss By My Window”, “L’America” è epica allo stato puro, “Hyacinth House” mescola rock e mitologia greca. Il finale, “Riders On The Storm”, è semplicemente storia: l’immagine di Jim, nelle nostre teste, dovrebbe essere sempre supportato da questa canzone, un addio dolce, più rassegnato che disperato, la canzone giusta per quel giorno di luglio, pochi mesi dopo, quando l’Ade inghiotte per sempre King Lizard, il Re Lucertola, mutilando il Rock’n’Roll e consegnandolo direttamente al firmamento.
Due storici eventi precedono l’uscita dell’album: il processo a Morrison per i fatti di Miami e l’ultimo concerto della band all’isola di Wight (1970). Per Morrison il periodo è critico e, frustrato dall’alcool, dal degenero fisico, dalla mezza condanna processuale, pensa di andarsene con Pamela nella Parigi degli amati poeti maledetti: lo farà appena terminate le registrazioni di “L.A. Woman” che esce, accompagnato da grande successo di pubblico e critica, mentre Jim è già nella capitale francese.
Molte bands attraversano sul finire della carriera un periodo di declino: i Doors del 1971 ci sono già passati con “The Soft Parade”, si sono ripresi con “Morrison Hotel” e tornano al vertice con un album ricco e completo come questo “L.A. Woman”, il più bel ricordo che Morrison e compagni potessero lasciare.
I quattro sono ispirati come non accadeva da tempo: Manzarek suona l’organo perfettamente, Densmore dà il ritmo vincente, Krieger inventa dei riffs favolosi e Morrison canta con una profondità che ha dell’incredibile, parlando direttamente allo stomaco. Blues e Rock danzano insieme: “The Changeling” dà la carica iniziale, “Love Her Madly” è la chicca commerciale, “L.A. Woman” è uno dei pezzi rock blues migliori di sempre. C’è altro: il lato oscuro della band sta in “Cars Hiss By My Window”, “L’America” è epica allo stato puro, “Hyacinth House” mescola rock e mitologia greca. Il finale, “Riders On The Storm”, è semplicemente storia: l’immagine di Jim, nelle nostre teste, dovrebbe essere sempre supportato da questa canzone, un addio dolce, più rassegnato che disperato, la canzone giusta per quel giorno di luglio, pochi mesi dopo, quando l’Ade inghiotte per sempre King Lizard, il Re Lucertola, mutilando il Rock’n’Roll e consegnandolo direttamente al firmamento.
