
Paolo Capodacqua ferite & feritoie
2020 - Storie di Note
Paolo Capodacqua scandisce le parole con una nitidezza quasi deandreiana, la sua caratteristica chitarra riverberata si misura e dialoga con fisarmonica-contrabbasso-pianoforte-sax-percussioni, come si deve ai dischi sentiti-suonati e non scimmiottati con la supervisione dei pc. Si parte con Gli amanti segreti che, per climi tematici, mi fa pensare al primo Paolo Conte, quello delle evasioni clandestine dai tinelli “marron” dell’abusata coniugalità. Gli amanti segreti di Capodacqua sono viveur giocoforza, “venuti al mondo con circospezione/ O come viaggiatori clandestini/ partiti senza una destinazione/ con le facce da assassini”, e si capisce al volo che i loro tradimenti sono ammantabili di spleen. Si parte dunque con Gli amanti segreti e si approda a una bonus track di origini gucciniane: accompagnato dalla chitarra di Flaco Biondini (chi altri, se no?) Capodacqua rilegge L’albero e io di un Francesco Guccini alla seconda prova della sua carriera. Parafrasando il sovra-incensato Mogol: tu chiamale se vuoi, affinità elettive.
Gli amanti segreti e L’albero e io sanciscono i confini di un album cantautorale che più cantautorale di così solo quelli dei cantautori degni di tal nome: in mezzo ci passano ulteriori nove tracce, scaturigine di malie letterarie: l’Antoine De Saint-Exupèry di Canto dell’aviatore e Rosafiore; Per questo mi chiamo Giovanni (cui partecipa Pippo Pollina) ispirata al libro omonimo di Luigi Garlando; e ancora Il mare di Milano, suggerita dal romanzo di Ugo Riccarelli (Il dolore perfetto). Dettate, ancora, da sedimenti di letture, da storie di uomini illustri e - soprattutto - non illustri (L’uomo senza nome), da musiche variopinte, mandate a memoria, alcune soltanto orecchiate, come la swingante Il ladro, in cui Capodacqua si concede un trascinante divertissement. Dall’insieme di tutto ciò, il chitarrista-cantautore desume l’anima autentica di ferite & feritoie, disco capace di dolore, capace di denuncia e capace di poesia. Capace di rimestare senza edulcoranti tra ferite e feritoie (appunto), impronte di un tempo ambivalente che reifica le prime spesso al piano dell’indifferenza, eleggendo le seconde a fortilizio di diffidenza.
“Mi intrigava molto la similitudine e la sovrapposizione tra le ferite e le feritoie. Le ferite sembrano feritoie dell’anima; dalle ferite (vere o virtuali) si può tornare a guardare il mondo come da una feritoia. Allo stesso tempo, però, ho provato ad immaginare l’occhio dell’ “altro” che improvvisamente occupa lo spazio visivo del nostro occhio mentre osserviamo dalla feritoia. L’occhio dell’Altro può arrivare come un atto d’accusa o come una rimembranza, a farci mettere in discussione tutto il nostro il nostro vissuto e le nostre convinzioni. In questo disco succede che la prospettiva della feritoia venga ribaltata e che siano quelli senza più voce a raccontarci la loro verità, le loro ferite: la bambina dei lager, il Che nella solitudine degli ultimi giorni, il giudice Falcone, i migranti senza nome naufragati nelle nostre città, ma anche il mistero di Saint-Exupery e del suo Petit Prince”.
Ho apposta lasciato per ultimi due passaggi-cardine dell’album. Si tratta di I nidi degli uccelli, in cui l’atrocità della deportazione è restituita dal focus interiore di una bambina, destata in una “notte che cadde a pezzetti/ il rumore del legno spezzato/ e il latrare dei cani sui tetti”; e dell'orecchiabile Gli occhi neri di Julia Cortez, la maestrina il cui sguardo sostiene l’”ultima controra” boliviana di Guevara: “E se racconteranno che fu il fucile/ a dilaniarmi il petto senza pietà/ di pure loro che prima di morire/ il cuore mio si era fermato già/ sul ciglio dello sguardo di una maestrina/ nero e profondo come una feritoia/ il posto dove sono annegato prima/ che nella stanza nuda arrivasse il boia”. Due tracce-emblema, si diceva, di un album di rara intensità, da non mancare per chi volesse farsi un’idea di cosa sopravvive, e in quale forma parla, oggi, la canzone d’autore italiana (oggi che il termine cantautore è inflazionato e assegnato a casaccio).
Alla resa impeccabile del cd concorre, a diverso titolo, una cospicua declinazione di interpreti e musicisti (“Nessuno scrive da solo un romanzo” sostiene Stephen King, e la sua frase, compare non a caso nel book-let), che evito di menzionare se non come ensemble funzionante alla perfezione. Impreziosito dalle vivide illustrazioni di Enzo De Giorgi, ferite & feritoie ha una dedica che, in ultima analisi e fuori metafora, suona come dichiarazione di intenti: a Claudio, recita semplicemente, e d'altro canto evocando quasi un mondo. Claudio sta infatti per Claudio Lolli, ineguagliato esempio di canzone civile italiana.