Baluardo è il quarto lavoro della band, composta da undici musicisti, ma nel disco suonano ben in ventisei, che prosegue in maniera brillante il progetto iniziale arricchendolo di sfumature jazz, prog, folk, reggae e funky.
Il risultato è un esplosivo e lussureggiante caleidoscopio musicale, ricco di vitalità, di passione, di grande libertà, di creatività (a volte fin troppa), di esplorazione dei suoni , insomma un laboratorio musicale che miscela tradizione ed avanguardia, musica colta e popolare, con testi dal forte impegno socio-culturale.
I brani contenuti nell’album sono diciassette, in gran parte strumentali, con molte composizioni originali, ma anche con riletture di brani tradizionali e una cover,e catturano l’ascoltatore con grandi ritmi, frequenti i cambi di marcia e direzione, che lasciano sempre sorpresi e mantengono alto l’interesse e la curiosità durante tutto il disco.
Difficile stare fermi, difficile non farsi contagiare da “tanta” bella musica, da questo suono meticcio che è un frullato di tradizione e modernità, ricco di molti strumenti a fiato, ma anche elettronici e fisarmoniche.
Lo zio è pazzo è un perfetto esempio di “balkan sound meets mediterranean sound” sconfinando in un prog-jazz anni ‘70, Pompei con un grande sax in evidenza devia verso sonorità funky-reggae, Hasa oriental è uno splendido strumentale dove il moog gioca con i fiati a ritmi vertiginosi, mentre tra le riletture dei brani tradizionali sono da segnalare la strumentale La Rosa Enflorece, con un inizio da colonna sonora di film western ma che poi si sviluppa in una sontuosa e solenne melodia proveniente dall’Est Europa, e Moja mala nema mane, vorticosa ballata folk che ci spinge a muoverci e ballare.
Ci sono anche due speciali tributi: Estam Hozic scatenato brano dedicato alla memoria di Aidan Hozic, musicista autore del brano stesso, scomparso da pochi anni e che ha fatto anche parte degli Opa Cupa, e una strumentale, straordinaria e sorprendente versione salentino-balcanica di You know I’m no good, di Amy Winehouse, che ci commuove non poco.
Non ci si annoia veramente mai con questo disco, sempre gradevole e vario, che sembra uscito da una colonna sonora di Emir Kusturica o da un concerto di Goran Bregovic, con l’aggiunta però di synth, moog e farfisa.
Un altro ponte musicale fra culture, etnie e religioni molto diverse tra di loro.
Da vedere dal vivo.