La fame di camilla<small></small>
Emergenti

La Fame Di Camilla La fame di camilla

2008 - Autoprodotto

10/09/2008 di Ambrosia J. S. Imbornone

#La Fame Di Camilla#Emergenti

Non si smette mai di avere fame. Non si smette mai di essere alla ricerca. Di qualcosa, di qualcuno, di sé stessi. Il disco d’esordio autoprodotto di questo progetto musicale, che non rappresenta la prima esperienza dei singoli componenti (Meta proviene dagli Ameba4 in contratto con la Sugar, gli altri da gruppi emergenti ben noti in Puglia, come Aye Davanita e Melissa Lake), sembra raccogliere le prime tappe di una ricerca senza fine e senza pace. Il viaggio più complesso è quello che si immerge nelle profondità dell’io per recuperare e rivivere le memorie del passato: così, un titolo apparentemente idilli(a)co come “Storia di una favola” cela un puro ritratto emozionale, spogliato di ogni retorica e di qualunque ridondanza drammatica, delle intime lacerazioni che lascia e delle sospirate speranze che suscita il distacco, doloroso e necessario, dalla propria terra. Il gioiellino di straziante intensità “Ne doren tende” (in albanese, la lingua madre del cantante Ermal Meta), tra le accorate trame di chitarra elettrica, eteree e sospese tanto da essere quasi in odore di post-rock (soprattutto nell’intro e nell’outro), innalza invece uno struggente canto d’amore a quel che si perde e si può ritrovare (o si ha il dovere di ritrovare, per non smarrire la propria preziosa identità) nelle radici della memoria. Nei testi della band si scivola nelle pieghe del non detto per rinvenire le lacrime di una rabbia senza voce, si rincorrono e accarezzano con il pensiero i fantasmi di quel che si è dovuto lasciar dileguare per le strade del tempo. E ancora: ci si sofferma a godere di piccoli momenti di guadagnata serenità, nella consapevolezza che la ricerca della perfezione può essere invece sperpero dei tesori del quotidiano e, di contro, si rintracciano e imboccano i varchi che ridonino al corpo e allo spirito lo spazio del respiro, in una relazione soffocante che inanella pretese e follie. Che si ricerchi, in bilico tra un incanto trasognato e la passionalità più viscerale, la complementarietà dei bisogni o si esplorino i lembi slabbrati e sanguinanti delle ferite dell’indifferenza, arma cieca contro l’inviolabile bellezza delle individualità, i testi delle canzoni composte dalla band sono comunque parole nude, che non hanno paura di suonare personali, eppure assolute, e spietatamente vere. Musicalmente si ricerca invece un punto di equilibrio tra sperimentazioni sonore indie e linee melodiche elegantemente pop, tra atmosfere cantautorali, che nei vuoti di un’intro voce e piano lascino emergere il suono e il peso dei versi, e suoni distorti, tra sonorità acustiche e sequenze. Riff di chitarra elettrica prepotentemente rock un po’ alla Muse(v. “Song # 1”) e suoni sporchi si alternano agli assoli chitarristici emozionali, più che virtuosistici, di Giovanni Colatorti, che guardano allo stile di Jonny Greenwood, mentre le basi ritmiche, affidate a Dino Rubini e Lele Diana, risultano sempre piuttosto accattivanti, sia quando danno enfasi alle ballate che quando sostengono brani che girano più veloci. L’ariosità di alcuni arrangiamenti rammenta i Death Cab for Cutie di “Plans”, mentre qualche linea di chitarra elettrica (v. “Non chiedermi niente”), in un’alchimia perfetta con il basso, potrebbe quasi appartenere ad una b-side di “The Bends” dei Radiohead. La voce accesa di Ermal Meta, straordinariamente ricca di colori e sfumature e dall’estensione notevole, rammenta ora Jón Þór Birgisson del dream-pop atmosferico dei Sigur Rós, ora, tra aperture sonore magniloquenti ed interpretazioni vigorose, Matt Bellamy(v. ad esempio il ritornello della coinvolgente e vivace “Diversi=Diversi”, di cui si segnalano gli arpeggi di chitarra e la splendida linea di basso del ritornello), e si destreggia con falsetti limpidi e fascinosi che fanno tremare le vene dei polsi e linee a voce piena caliginose, muovendosi tra gli estremi del romanticismo della rarefatta “Sono il tuo re”, che risuona perentoria come una formula magica, e il disincanto quasi beffardo delle staffilate alt-rock di “Non chiedermi niente”. Perché nel cammino tortuoso e oscuro nell’intimità del proprio io anche gli estremi si toccano.
Se la band avrà fiducia nelle proprie potenzialità e resisterà alle sirene della musica commerciale, che bisbigliano prima o poi nell’orecchio di quasi tutte le band, potrà crescere ancora, affinando nel tempo la propria scrittura e “osando” musicalmente negli arrangiamenti, per proseguire un percorso musicale fin d’ora interessante e intrigante. La materia prima, nelle doti vocali, nelle qualità tecniche, nella sensibilità e nell’attitudine, c’è tutta.

Track List

  • Interferenze|Diversi=Diversi|Ne doren tende|Song # 1|Storia di una favola|Sono il tuo re|Quello di cui non parli mai|Piccole cose (che sai ignorare)|Non chiedermi niente|L´amore perfetto

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