
Goran Kuzminac Fiato
2012 - NemaProblema
Basta qualche titolo, tra le sue nuove tracce (13), per farsi un’idea: Cerco una donna, Il respiro degli amanti, Ogni volta che mi tocchi, Tienimi con te, Quello che ti do. Il fatto è che tanto miele messo in bocca a una bella (?) promessa di X-Factor è un conto, nel disco di un omone prossimo alla sessantina, dà da pensare magari come minimo alla sindrome di Peter Pan. Però non è del tutto concesso infierire: da che Mogol è Mogol, trattasi dei brutti scherzi che può fare Cupido a chi pretende di cimentarsi con musica e parole, senza il lampo del fuoriclasse.
Meno male che - nel caso di Kuzminac - c’è la chitarra a salvare capra e cavoli, farsi valere - una volta di più - sul crinale in bilico tra folk-country-blues. Alla faccia degli anni che sono passati come sempre di corsa, la voglia di suonare (gli) è rimasta intatta. Così come una certa dose di coraggio nel metterci faccia e voce, raccontarsi attraverso piccoli spostamenti del cuore - e va bene! -, ma anche per passaggi meno ombelicali, quelli più azzeccati di questo suo ventunesimo album.
Si ascolti la duale Fantasia, per esempio. Proposta in versione acquerellata prima, bandistica poi (Improbabilfantasia). Oppure la trascinante ballata serba Gloko, a ribadire il filo rosso con le proprie origini. Si ascolti, soprattutto, Se fossi una mosca (scritta a quattro mani da Alberto Zeppieri e Teofilo Chantre), tenue visione di mondo dal focus dell’insetto (però Kafka non c’entra). Di taglio, passo, estrazione intimista risultano anche Corro come nuvola (omaggio alla musica: “e questo respiro ha un ritmo veloce, come la mia musica come la mia voce”), e “Quello che ti do” (scritta per un figlio soltanto immaginato), ma glissano - vivaddio! - su fantomatiche regine di cuori e dolori (Carmen dal passo lungo).
Doverosa, infine, la menzione per la coda jazzata di Per nessuno (“Questa sera non ci sono per nessuno/ devo parlare con il mio amore/ devo capire se le sono nel sangue/ se è solo per gli occhi o se c’entra anche il cuore”), dessert di note blue(s) servito con cura dalla Stefano Raffaelli Jazz Quartet.
Che dire, allora, in ultima analisi di questo lavoro? Si tratta di un disco volenteroso, sincero, con qualche luce e diverse ombre, gravitante in zona pop d’autore, senza infamia e senza lodi. Per contenuti e peso specifico rivolgersi altrove. In questo autunno caldo di uscite a denominazione d’origine controllata (Battiato, De Gregori, Guccini) in giro c’è solo l’imbarazzo della scelta.