Giacomo Papetti Small Choices
2013 - Aut Records
Questo Small Choices documenta un’interessante esplorazione del concetto di improvvisazione al di là degli schemi classici del jazz, indagando le possibilità offerte dal panorama della musica contemporanea in sodalizio con Emanuele Maniscalco (piano) e Gabriele Rubino (sax piccolo e soprano, clarinetto basso), uniti a Giacomo nell’interesse all’approccio multidisciplinare.
Il lavoro è frutto di una ricerca che Giacomo ha condotto in occasione della sua laurea in jazz al Conservatorio di Brescia e, in quanto tale, propone diversi spunti di interesse specificamente culturale.
L’improvvisazione è sviluppata su brani originali e su estratti dalla produzione di artisti “seri” quali Ligeti, Messiaen e Sibelius, selezionati sulla base delle opportunità che i materiali favoriscono all’espressione degli artisti.
Il percorso proposto infatti non ha un sapore né antologico né filologico; i musicisti non indagano un filone né intendono razionalizzare generi o categorie.
Prova ne é la perfetta integrazione tra i pezzi autografi ed il riesame del patrimonio colto selezionato; l’empatia è completa, talvolta forse eccessiva al punto da non oltrepassare certi limiti di impatto.
Il trio propone composizioni proprie talvolta come cammei di passaggio (Far, Glimpse) ed in altri casi come episodi più compiuti, come in After That e Nascondere; le dinamiche sono sempre molto controllate, in perfetto stile cameristico; i suoni sono sondati in dialettica ai silenzi, come faceva Feldman , anche se qui l’intreccio tra i musicisti conferisce sostanza e crea un continuo stimolo all’ascolto.
La chiave di lettura appare comunque essere più vicina alla musica contemporanea che a quella di matrice nera.
Ligeti risulta un richiamo estremamente felice in entrambi i momenti a lui riferiti, Hu Rock e Bela Bartok in Memoriam; l’arte del grande ungherese è infatti terreno fertile per richiami ma anche rielaborazioni che uniscono l’impegno cameristico all’uso di ingredienti popolari quali il rock o il folk. Nel primo dei due episodi il basso ostinato percorre il beat, il clarinetto fa da contrappunto libero ed il piano lega i due livelli in passaggi sovente cementati dall’accordo. L’impressione netta è quella di una rilettura libera che tuttavia evita radicalismi grazie all’impianto di base; la ricerca non è la provocazione ma lo stimolo delle esperienze.
Stesso effetto nel brano dedicato a Bela Bartok, in cui il tono ieratico e l’intermezzo punteggiato richiamano il ritmo di Stravinski con la sua forza narrativa.
La ripresa di Messiaen, in Fine del Tempo, è quella che più mantiene la vicinanza al jazz moderno sia per le geometrie che per la ricchezza ritmica; qui i musicisti sembra riescano anche a divertirsi, alternando intrecci a spunti più autonomi.
Nei due passaggi di Sibelius il trio sfrutta più i caratteri modali e riduttivi della matrice base che permette algidità riflessive, spunti folk, trilli ostinati e ritmi articolati; in Escape from Ainola il basso veloce (e con archetto), il piano interallacciato e il clarinetto lento creano una multidimensione estremamente interessante.
Il Finale, di Gershwin, lascia comunque poco spazio al Tin Pan Alley; la trama è dilatata, analizzata e scomposta al punto di essere a fatica rintracciabile; l’impressione è che i musicisti vivisezionino la tessitura e l’effetto finale è piuttosto astratto.
Crediamo che il segreto per apprezzare questo lavoro, intensamente cameristico, decisamente moderno, piuttosto astratto ma tutt’altro che astruso stia nel cogliere il senso di un impegno intellettuale non didattico ma vitale; i musicisti vivono la loro esperienza sapendo cosa fare e come proporlo, l’ascoltatore deve riuscire a leggere in sintonia senza cercare schemi a priori ma apprezzando i vari “attimi fuggenti” all’interno di uno schema inusuale; il jazz quando incontra la musica contemporanea può generare esitazioni ma in realtà celebra una delle migliori compatibilità della musica del XX secolo.