Gemini 4<small></small>
Derive • Suoni

Gemini 4 (feat. Hugo Race & Michelangelo Russo) Gemini 4

2019 - Gusstaff

07/02/2019 di Luca Andriolo

#Gemini 4 (feat. Hugo Race & Michelangelo Russo)#Derive#Suoni

Il nome è quello di una missione aerospaziale americana. Come tale, il disco intero è un viaggio e un esperimento. Un album di Hugo Race senza la voce, ma ugualmente suadente, con l’apporto di Julitha Ryan (sua collaboratrice di lunga data, in varie formazioni) che aggiunge probabilmente un tocco femminile, la mano riconoscibile di Michelangelo Russo alle prese con suoni inaspettati e la presenza di Andrew ‘Idge’ Hehir distribuita nei livelli sovrapposti di batterie elettroniche, sintetizzatori analogici, suoni d’atmosfera e incursioni di loop. Un piccolo azzardo che arriva come inaspettato, ma non stupisce chi è avvezzo alle avventure sonore di questi musicisti eroicamente dediti all’evasione da ogni definizione: è l’incontro di artisti accomunati dal segno zodiacale dei gemelli che si lasciano andare a una cerimonia d’improvvisazione, ma senza perdere mai il controllo, per offrire un enigmatico oggetto sonoro basato sulla dualità, sulle giustapposizioni senza conflitto, con una ricchezza timbrica da scoprire lentamente.

L’iniziale Unicorn apre con suoni soffusi e con quello che in gergo di si chiama pad atmosferico, ci sono tracce di drone, qualche rumore che riporta alla glitch music, un suono elettronico quasi datato (e forse un po’ troppo sognante), fino all’apertura pianistico-tastieristica. Le trasformazioni ribollono sotto la superficie di questo mare che rispecchia le stelle. La successiva Aspartame prosegue ma in modo più inquietante, con pulsazioni quasi acide, che subito s’arrestano: luci e ombre sono i due estremi dell’intero album. Paradossalmente (?), si affaccia persino l’eco distante di Jean-Michelle Jarre e di una deriva elettronica ambient (o persino chill-out), con ritmo ipnotico e quasi ballabile. La batteria elettronica spinge avanti il tutto, la ricombinazione del piccolo tema genera un effetto straniante. In Blue Boy emergono momenti quasi carpenteriani, poi la chitarra (inconfondibile, eppure diversa dai suoni cui ci ha abituato) riporta tutto a casa. Qualche tentazione harsh-noise non basta a colpire in profondità, ma non è questo l’intento: il viaggio siderale non spaventa, piuttosto avvince. Purtroppo Epehemera rischia, nella sua carezzevolezza, un’ombra di noia, ma le trasformazioni continue e l’inserimento dei suoni porta a una sorta di trance, da cui emergono elementi non solo melodici ma anche armonici che non è facile fissare. Forse Dream Machine dichiara definitivamente le coordinate del disco, che non teme virate kraut o la presenza di piccole bizzarrie.

L’idea di improvvisazione aperta, di progetto proteiforme lascia emergere qua e là punti di contatto col precedente, più magmatico lavoro su John Lee Hooker della coppia Race/Russo. Brian Eno non è lontano, eppure sta in un altro cielo. Twins ribadisce una volta per tutte le coordinate: minimalismo e attesa, l’oscurità del cielo e la luce degli astri, un giro quasi blues, lontano.

Elitario e insieme non così ostico, il disco cela e disvela, non senza qualche programmatica lungaggine e forse nemmeno del tutto al riparo da qualche latente stucchevolezza, che però suona consapevole e deliberata, specie se si conoscono i suoni e la ricerca degli artisti che hanno compiuto questo viaggio nella costellazione più ambigua e affascinante.

Track List

  • Unicorn
  • Aspartame
  • Blueboy
  • Ephemera
  • Mercury Rising
  • Dream Machine
  • Twins
  • Minus 3
  • Pop Nostromo
  • Afterbirthing
  • Rosebud