Chiara Giacobbe Chamber Folk Band Lionheart
2017 - Sciopero Records / Self
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Le sensazioni constrastanti che evoca la copertina, ritratto di una femminilità dove convivono dolcezza e istinto felino (o leonino), si ritrovano anche nel disco, che alterna accenti più ruvidi e altri più morbidi e ammalianti. Si sentono nella voce e anche nel violino, libero di distendersi nelle melodie ma anche capace di umori differenti e di suoni più incisivi. C'è poi la scelta di cantare in inglese, sicuramente coraggiosa e da leggere come l'inizio di un corpo a corpo con una lingua da padroneggiare e domare. L'esperimento sembra riuscire meglio dove l'intepretazione è più morbida e sussurrata e meno programmaticamente ruvida o “tirata”, quasi a imitazione di cantanti ben più smaliziate: due esempi sono No More Blue, che si fregia anche di una bella sequenza di assoli, e le strofe delle title-track, particolarmente accattivanti e con la voce ben allineata al groove della chitarra. Ma soprattutto Lionheart è il disco che non ti aspetti: leggi “violino” e ti prepari al folk inglese o irlandese, al country americano, alla tradizione italiana. Nulla di tutto questo, o per lo meno non in dosi così massicce. Questo suona orgogliosamente come un lavoro rock.
Il disco cala subito un tris importante: la sequenza Let You Breathe (che dà un bello scossone ritmico)-No More Blue-Lionheart è densa ed elaborata in profondità. A stemperare un po' l'atmosfera arriva Pet Lion, un collage riuscito che mischia ariosi momenti melodici, cadenze danzerecce e squarci rock, con gli strumenti che si danno il cambio in modo molto naturale, sostenuti da un raffinato drumming; è la prima di due tracce strumentali: la seconda, My Mexico, pianta le sue radici più nella musica classica e si scosta abbastanza da tutto il resto.
Malinconica, introdotta dalle cornamuse e poi sostenuta dal bell'impasto violino-chitarra-harmonium, Particle Physics sembra programmaticamente puntare verso la Scozia, ma senza esagerare. Uno spazio a sé si ritagliano invece Alice e la trafelata High Fidelity. Il violino mostra una faccia più scura e sibila spigoloso e conturbante, dentro atmosfere più rootsy: soprattutto Alice richiama certe atmosfere waitsiane e qualcosa degli ultimi dischi di Mellencamp. I Can't Get Over You ha un inaspettato attacco funky-jazz che depone a favore della qualità musicale della Chamber Folk Band, così come la finale (o quasi) Song for M., forse la miglior prova di insieme. Qui l'ensemble è rinforzata dal graffio inconfondibile della chitarra di Paolo Bonfanti ma è soprattutto l'andamento del pezzo, ondivago e centrato su una ricorrente figura ritmica del basso, a convincere. E Chiara può spiegare tutta la potenza del suo strumento.