Ben Folds Supersunnyspeedgraphic: the lp
2006 - Epic/Sony BMG
Per fortuna c’è chi continua a dare importanza ai vecchi formati in cd, a volte persino in vinile: Ben Folds per esempio prima ha distribuito queste canzoni on line, suddivise in quattro virtuali Ep che hanno raggiunto le vette ancora più virtuali delle classifiche di Billboard e iTunes, e poi le ha raccolte in un album uscito verso la fine dell’anno scorso. Si può obiettare sui tempi e sulla priorità, ma almeno ci troviamo in mano un disco fatto e finito, comprensivo del significato suggerito dall’artwork e della qualità sonora di cui spesso gli Mp3 difettano.
Per quanto la sostanza sia essenzialmente pop-rock, “Supersunnyspeedgraphic” è un disco di spessore che merita di esser posseduto e goduto nella sua forma più completa.
Si sa che Ben Folds è un musicista che ama spiazzare e lo fa a partire dal booklet: la copertina fa pensare ad uno scatto che immortali la sua figura sulla pellicola di una macchina fotografica old style, mentre l’immagine sul retro ce lo mostra in vesti tuttaltro che ufficiali, a malapena sveglio, con tanto di shorts e ciabatte.
Ironico e provocante, ma anche duro e critico, questo disco avrebbe potuto collocarsi tra “Rockin’ the suburbs” e “Songs for silverman”: di sicuro è più pimpante rispetto all’ultima prova in studio, anche solo per le diverse formazioni e la maggior varietà strumentale con cui è stato suonato (e quanto è suonato!).
Il progetto è partito con un Ep accreditato ai The Bens, ovvero lo stesso Ben Folds accompagnato da Ben Lee e Ben Kweller: oltre al nome i tre condividono un approccio al pop ricercato (andate ad ascoltarvi i dischi di Kweller e non faticherete ad immaginarlo come un cuginetto di zio Folds) e affatto omologato (prestate attenzione ai testi non certo “puliti” né “politically correct”).
Tanto per aumentare poi la serietà dello scherzo, in scaletta ci sono un paio di cover, “In between days” dei Cure e “Bitches ain’t shit” di Dr. Dre che diventa un pugno in faccia al perbenismo. Le esecuzioni sono contagiose, hanno un’energia critica che tra i saltelli del piano si fa beffa del consumismo (“All U can eat”) e degli eccessi di apparenza del nostro mondo (“There’s always someone cooler than you”).
Tra vocals, synth, fiati, qualche arco e variazioni ritmiche che prendono una forza quasi punk, Ben Folds conferma di essere degno discendente di gente come Paul McCartney, Joe Jackson ed Elvis Costello. Per quanto si conceda alla rete, lui è uno che le suona a tutto e tutti, anche a questi tempi da Mp3.