
AB Quartet Do Ut Des
2022 - Red Blue
Il combo fu già ospite della testata nel 2020 quando, in piena pandemia, uscì I bemolli sono blu ispirato alla musica di Claude Debussy che definimmo una “chicca culturale”; vi invitiamo a recuperare quel lavoro e ad ascoltare, per esempio, Serenade; vi renderete conto del giudizio espresso soprattutto per la capacità di lavorare da parte dell’ensemble su di un patrimonio classico portando le lancette al giorno d’oggi.
Stessa identica conclusione proponiamo per questo interessantissimo progetto nel quale la base di partenza è rappresentata dalla musica antica e, più precisamente, dal patrimonio del canto gregoriano.
A scanso di ogni equivoco, precisiamo che non si tratta di un’opera in cui gli artisti eseguono musica sacra; un ascoltatore ignaro di questa premessa molto probabilmente nemmeno penserebbe alle antifone medioevali.
Vero che i titoli, e anche l’art cover, richiamano in modo esplicito questi riferimenti di base.
Il Dies Irae è un chiaro riporto alla liturgia funebre del ‘200 mentre l’Ut Queant Laxis è un inno liturgico dal quale Guido D’Arezzo (X – XI secolo) estrasse i primi elementi, fondamentali, della scala diatonica.
Anche il titolo del disco, nella sua assonanza tra il broccato latino e le note Do – Do – Rebemolle, farebbe pensare ad un approccio modale ispirato in sincronia alla scrittura con una verve da madrigalismo.
La realtà come sempre sta nel mezzo e la si scopre informandosi un po’.
Chi scrive ha ascoltato una prima volta in modo “agnostico” (o meglio disinformato) il lavoro apprezzandone la sobrietà, la profondità di certi intrecci, il controllo di schemi polifonici, l’uso del basso come base delle traiettorie, l’effetto timbrico del clarinetto e così via. Impressioni di un primo approccio che hanno portato all’interesse per un approfondimento.
Procedendo alle solite ricerche in rete, si sono reperiti elementi utilissimi per una valutazione più completa di quella che non è solo una proposta musicale, ma il frutto di un vero e proprio studio progettuale, che poi rappresenta la cifra principale del disco.
Antonio e compagni hanno analizzato a fondo il lascito della musica sacra ante-Rinascimento cogliendone i frattali. Di questi elementi di fondo hanno fatto tesoro, quasi fossero semplici basi sonore, per partire ed elaborare composizioni proprie del tutto originali e decisamente figlie dei nostri tempi.
Di conseguenza, per esempio, il Dies Irae già ricordato mantiene il tema base, riconoscibile nelle linee lente del basso, ma gli altri strumenti intervengono con schemi accelerati ad imitazione ed abbellimento e, soprattutto, il ritmo acquisisce un andamento moderno. Gli autori parlano di “drum’n’bass”: noi non arriveremmo a dire tanto, ma certamente le cadenze appartengono all’oggi.
Analogamente dicasi per l’altro brano sopra ricordato, l’Ut Queant Laxis, in cui l’incipit del clarinetto evoca il ruolo vocale del primo solista esaltando una sobria spiritualità, ma evitando retoriche solennità che sarebbero risultate improprie all’interno di questo lavoro. Piano e basso poi procedono su schemi decisamente jazzati, ribadendo gli intenti creativi e non emulativi del lavoro.
I musicisti tuttavia decidono di osservare una matrice intima, più cameristica che da cappella, che suona come rispetto della base storico-artistica e forse anche spirituale di partenza.
Un disco che per essere fruito appieno richiede attenzione e magari qualche breve ricerca, giusto perché, nella scala delle sensazioni, quelle che sono accompagnate dalla conoscenza gratificano di più.
Nel caso specifico qualche piccolo sforzo è più che consigliato.