Ryan Adams

live report

Ryan Adams Roma / Auditorium Parco della Musica

11/07/2017 di Giovanni Sottosanti

Concerto del 11/07/2017

#Ryan Adams#Americana#Songwriting

In un Auditorium Parco della Musica tristemente semideserto avviene il mio battesimo live con Ryan Adams. Il genietto di Jacksonville decide che deve essere una sera cupa e spettrale, luci spesso basse, palco minimale con tigri e un diavolo nero che appare ogni tanto a ravvivare la scena, rimandi al Rust Never Sleeps di Neil Young e un suono duro, tirato, distorto, spesso acido, con interminabili cavalcate chitarristiche a inseguire i Grateful Dead e i Crazy Horse. Lascia spiazzato chi aspettava oasi acustiche a ricordare le sue origini country rock e il suono dei primi dischi, ma lui è così, imprevedibile e amante della sorpresa, la stessa sua discografia è lì a testimoniare frequenti cambi umorali e conseguentemente di generi musicali che da Heartbreaker a Prisoner hanno attraversato tutta la sua produzione. I pezzi dell'ultimo disco occupano buona parte dello show, parte forte e deciso con Do You Still Love Me? a cui segue Gimme Simething Good, tratto dal disco omonimo del 2014.

Doomsday e Anything I Say To You Now ancora dall'ultima fatica, il suono è duro e cupo, non ci sono spazi chiari, avanti con Stay With Me e Blue Light fino a Let It Ride, tratta dallo splendido Cold Roses realizzato con i Cardinals. Anche Peaceful Valley vedeva i Cardinals nel motore in Jacksonville City Nights, per un altro disco da annoverare tra i migliori. Purtroppo la band di stasera non regge affatto il confronto con gli illustri predecessori, il sound, soprattutto all'inizio e forse non solo per colpa loro, è confuso e impastato, faticano ad uscire gli strumenti, dopo la metà del concerto  è poi migliorato, senza però avvertire mai la sensazione di una band compatta, manca l'idea d'insieme, sembrano quattro comprimari attorno ad un leader. Ryan intanto continua imperterrito il suo viaggio musicale onirico, che attraverso lancinanti assoli, spesso interminabili, lo porta a toccare Easy Tiger con Two e Ashes & Fire pescando Do I Wait.

Continua però a mancare qualsiasi empatia tra artista e pubblico, permangono quelle sensazioni di freddezza e distacco percepite all'inizio. When The Starts Go Blue ci ricorda le meraviglie di Gold, mentre il tanto osannato Heartbreaker, che all'alba del 2000 ci rivelò il genio irrequieto dell'ex Whiskeytown, viene citato solo nel finale con Shakedown on 9th Street. A quel punto Ryan stacca la spina e se ne va, quasi senza salutare, tutti sotto al palco aspettando i bis, ma niente, finisce così. Luci ed ombre nella mia prima live con uno dei cantautori più prolifici e umorali degli ultimi quindici anni, prendere o lasciare. Io prendo e stasera a Gardone spero in nuove e differenti emozioni.