
interviste
Paolo Scardanelli Shakedown 1979 Cool kids never have the time...
Abbiamo intervistato Paolo Scardanelli, autore de L'accordo - Era l’estate del 1979 edito da Carbonio Editore, e abbiamo cercato di soddisfare le mille curiosita che la lettura del libro suscita.
Mescalina: Presa dalla lettura (trovate qui la recensione del libro ndr) e dalle intrecciate riflessioni solo alla fine mi sono accorta che uno dei protagonisti porta il tuo stesso nome. In questa storia di radici e rotture quanto c’è di vissuto personalmente e quanto di rielaborato, magari scorso nelle vite degli altri?Paolo Scardanelli: Sì, c’è molto del vissuto personale e il materiale personale (vita propria e vite altrui) viene elaborato nella dimensione propria del romanzo, che, anche quando non vuole, riflette il proprio sguardo sugli altri insieme alla memoria di sé.
Mescalina: Cosa porta un geologo a voler scrivere?
Paolo Scardanelli: La scrittura è appunto un modo di discendere in sé ritrovando memorie sopite personali e collettive. Quindi la scrittura prescinde dalla tua posizione nel mondo essendo eminentemente di natura personale; essere un geologo contribuisce a una visione approfondita del senso delle cose che sovente la terra custodisce. Spesso l’immersione dello scrittore nello spirito della natura supera la conoscenza dello scienziato: Plinio il Vecchio ed Empedocle insegnano.
Mescalina: L’estate del 1979, con un’Italia che aveva già conosciuto il ’68, il terrorismo ma non ancora la Strage di Bologna, nel romanzo è un evento di rottura. Ma subito dopo le inquietudini della Storia sembrano lasciare il passo a quelle di Andrea, che sembra molto più estraneo alla contemporaneità rispetto a Paolo, più solipsistico…
Paolo Scardanelli: … Paolo crede nell’idea, Andrea ad essa soccombe. Questa sostanzialmente la differenza dei caratteri dei due personaggi che attraversano, con un sentire comune ma differente, il flusso impetuoso di quegli anni – anni di profonda trasformazione e rottura di tradizioni e schemi consolidati –. La politica un’ideale che presto abbandoneranno in favore di un processo di crescita (Paolo) e di involuzione (Andrea). Siamo essenzialmente soli nell’universo.
Mescalina: Oltre a Paolo e Andrea è molto accurata anche la caratterizzazione dei personaggi per così dire minori. Sembra quasi che tu abbia preso dai romanzi russi (fra l’altro in alcuni passaggi torna alla mente Delitto e Castigo) la capacità di delineare e raccontare tutto di ogni attore del romanzo, per quanto in forma più sintetica. Fanno in qualche modo parte della tua formazione, assieme forse a Bufalino e Consolo, altri autori da cui sembri aver assorbito qualcosa?
Paolo Scardanelli: Senz’altro. I miei riferimenti spaziano da Dostoevskij, come è stato evidenziato nella domanda, Flaubert agli autori cardine del ‘900: Mann, Céline e Gadda. La scrittura di un romanzo è come la tessitura di un arazzo o la creazione di una grande tela: il diavolo sta nel dettaglio.
Mescalina: A parte le figure umane, tre sembrano essere i grandi protagonisti de L’accordo - Era l’estate del 1979: la silente ma non sopita Etna, la musica con i suoi lussuriosi tormenti e la filosofia. Sei d’accordo?
Paolo Scardanelli: Sì. Credo che siano stati colti i punti. L’Etna è maestosa, solitario rifugio per i tormenti di Andrea e culla le ambizioni metafisiche, la spinta all’oltre di Paolo, come appunto dicevamo seguace dell’Idea. In essa e nel suo abbraccio, come in una notte trasfigurata di Schönberg, ci ritroviamo meno soli pur nell’affermazione ontologicamente indissolubile della nostra solitudine. La musica per Paolo e per la scrittura tutta costituisce una sorta di piega dell’anima che accoglie la superiore consolazione che essa ci porge. La filosofia infine è per lo scrivente cifra essenziale nell’indagine sulla ricerca del senso: in essa confrontiamo i nostri limiti provando a superarli.
Mescalina: Mi ha molto colpita l’accalorata difesa dell’arrivare secondi, che poi sorprendentemente non lesina accostamenti calcistici, da Leonardo a Zeman. Se Andrea è sostanzialmente travolto dal non vincere, cosa può dirsi invece di Paolo?
Paolo Scardanelli: Bella domanda. Cos’è la vittoria? È un po’ un compimento hegeliano: una volta raggiunta è già sfumata. Invece la tensione costante al gioco e all’accettazione della sconfitta ci porta a una superiore visione disincarnata dal dato immediato, ma più vera, più autentica. Ecco Paolo, a differenza di Andrea, cerca di trasfigurare la sconfitta in una consapevolezza puntuale. Paolo direbbe ad Andrea: la vita dev’essere qualcosa di più di questo, e questo è un brutto sogno.
Mescalina: In qualche modo arrivando alle pagine finali si ha l’impressione che la storia non finisca qui…stai pensando a un seguito o hai in cantiere romanzi totalmente sconnessi da questo?
Paolo Scardanelli: Credo nel valore dell’opera di una vita. Mi spiego: la nostra esistenza contiene a malapena ciò che dovremmo e potremmo essere; una scrittura che ne abbia cura deve raccontare la Vita, nella sua totalità. Questo è il primo capitolo del mio lungo e personale tentativo di narrare il mondo e il senso in esso contenuto nella forma di un’opera unica e distesa, come la vita di ciascuno di noi. Cézanne a un caro amico che gli chiedeva a che punto fossero le sue ricerche pittoriche sulla natura, rispondeva che non faceva alcun progresso; essa, la natura, gli si proponeva come inafferrabile. Questo all’interno di un inesauribile raccontare e declinare la natura stessa. L’Opera deve tendere verso la sfida più alta: provare a comprendere il Senso.
Mescalina: Grazie mille dell’intervista!
Paolo Scardanelli: Grazie a voi delle domande davvero pertinenti e, se avete voglia, continuate a seguirmi in questa Ricerca.
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