Marco Iacampo

interviste

Marco Iacampo Goodmorning, Marco

14/06/2010 di Andrea Rossi

#Marco Iacampo#Emergenti

Dopo alcuni anni di silenzio torna il songwriter veneto Marco Iacampo (ex Elle e Goodmorningboy), con un disco nuovo, omonimo, pubblicato da Adesiva Discografica ad inizio 2010.
Testi in italiano, semplicità, desiderio di metterci la faccia e di ´partire dalla propria storia´. Abbiamo avuto voglia di parlarne con lui e di capire meglio le ragioni di un cambiamento importante. Quasi un autoritratto.
Mescalina: Hai alle spalle un percorso molto ricco di esperienze musicali, ed hai attraversato negli anni situazioni diverse come autore e musicista: come consideri oggi i vari passi della strada che hai fatto, a partire dall’esperienza con gli Elle?
*Marco: Li considero esperimenti se parlo della musica, esperienze se parlo della storia personale. Se mi guardo indietro vedo tanta strada. E non so ancora se e dove sono arrivato. So che qualsiasi cosa ho fatto mi ha portato qui.
In questa lunga strada ho subito molte fascinazioni, la musica d’oltreoceano, la lingua inglese, certi sound decadenti di altri cugini europei … pian piano ho eliminato tutto e rielaborato quello che mi interessava. Elle e Goodmorningboy sono momenti in cui il mio io affiorava, ma sottoforma di sogno, con codici a volte comprensibili a volte no. Ora è tutto più chiaro.


*Mescalina: Mi sembra che il tuo nuovo disco lanci un messaggio forte e chiaro: niente più gruppi o pseudonimi dietro cui schermarsi, titolo con tanto di nome e cognome, testi comprensibili e personali, e la tua faccia esposta in bella mostra in copertina, fronte e retro.
Questo lavoro e questa musica ti rappresentano oggi in modo così compiuto e convinto ?
*Marco: Non è tanto il sentirsi rappresentati da un disco che porta ad esporsi ma più che altro è l’esporsi che ti rende veramente responsabile di quello che stai facendo e che ti fa fare delle scelte. È vero che in questo disco tutto è più a fuoco, ma la scelta di espormi nasce ancora prima di registrare, forse ancora prima di scrivere le canzoni. Credo che per un artista il cercare di sentirsi rappresentati dalla sua opera sia un impegno costante che non finisce mai. In questo lavoro ogni scelta è stata fatta a partire da me, in relazione con quello che mi circondava. Molti dischi di oggi non partono da condizioni reali. Sono scritti e registrati come in una bolla protettiva. Son montati. Ma secondo me la gente questo già non se lo beve più. O manca poco.

*Mescalina: Il tuo ultimo lavoro è molto diverso dalle produzioni precedenti: mescoli la canzone d’autore con le radici americane e una chiara intenzione pop che nel passato non mi sembra ci fosse.
Che musica fai oggi e a che tipo di pubblico ti vuoi rivolgere ?
*Marco: Nella mia vita ho fatto di tutto e ho incontrato tanti tipi di persone. Ad un certo punto, mi sono accorto che facevo una vita di un certo tipo e suonavo una musica che con questa vita non aveva niente a che fare. Allora mi son detto: ma perché presento le canzoni con l’accento veneto e poi canto in questo inglese che non so neanche perché lo sto facendo? È così difficile dire le cose nella mia lingua? C’è qualcosa di comune nelle radici musicali di tutto il mondo? Posso scrivere qualcosa di classico e pertinente partendo dalla mia storia, quella di un italiano nato sotto l’influenza americana? Cosa c’è di buono in tutto ciò? Cosa è stato perso? Cosa si può ritrovare? E se la mia soluzione fosse qualcosa di molto semplice?
Ecco, la mia soluzione è questo disco.

*Mescalina: Sei partito dal rock cosiddetto indie, cantando in inglese: che rapporto hai con la tradizione italica della canzone d’autore?
*Marco: La cultura italiana soffre di molti problemi, ma tutti della stessa natura. In tutti i casi ci sono delle forti contrapposizioni e una difficoltà oggettiva a conciliare estremi troppo lontani. Nella musica italiana, molto distanti sono le radici popolari da quello che è la musica lirica, cosiddetta ´alta´.
E le condizioni storiche di queste invasioni di rock, jazz, indie, arnold, ridge e patatine fritte non son state di certo d’aiuto a tenere uniti questi estremi. In questo regime la musica italiana ha sempre faticato alle mie orecchie ad avere una certa pertinenza. Mi sembrava sempre che ci mancasse qualcosa, e che gli accostamenti fra parole e musiche fossero in certi termini sempre troppo azzardati. Poi mi son detto: ma se fosse un terreno di forte ricerca? Se mancasse il mio apporto? Paolo Conte, De Gregori, Dalla, Bennato, Vasco han tutti cercato a modo loro di scrivere una canzone che fosse bella, popolare e pertinente. Ho detto: questa è una sfida alla quale non posso rinunciare!


*Mescalina: Del tuo ultimo disco ho apprezzato lo sforzo di semplicità, la nitidezza dei suoni e la trasparenza dei contenuti: credo siano risultati cui si arriva con il tempo e con un lavoro importante.
Cosa è successo nei 5-6 anni che hanno separato ´Hamlet Machine´ da ´ Marco Iacampo´, che ruolo ha avuto il produttore Paolo Lafelice in questo cambiamento e perché hai scelto proprio lui ?
*Marco: Da Mestre son venuto a stare a Milano. Mi son chiuso in casa. Ho fatto ordine. Ho cominciato a scrivere in italiano. Piano piano sono uscito di nuovo. Ho provato a propormi. Ho ricevuto molti no. Ho incontrato Lafelice che mi ha detto ´si, bello… ma..´ e li mi son fermato. Con lui ho messo a punto tutto ciò che era stato già iniziato. Ho scritto brani sempre migliori e più a fuoco. Paolo molte volte si limitava a dire si o no. Non mi ha mai forzato in niente. Ci siam dati del tempo. Ecco, è stato un lavoro di esperienza e fede nel tempo. E ho guardato molta televisione.

*Mescalina: Quali sono i pregi principali, ed i limiti, che vedi oggi nel tuo ultimo lavoro ?
*Marco: Pregi, che è semplice e profondo.
Difetti, che se non vai nel profondo risulta solo semplice.

*Mescalina: Nei tuoi testi mi sembra ci sia una tensione tra due spinte: da un lato emergono temi come il senso di vuoto, il bisogno di fuga, la ripartenza e l’evasione, lo spaesamento, i sensi di colpa di chi abbandona tutti per cercare la propria strada. Dall’altra, però, questa spinta convive con momenti pacificatori ed atmosfere più rilassate. Quanto è stato faticoso cercare il cambiamento nella tua storia artistica?
*Marco:Come ribaltare una frittata tenendo la padella tra i denti.
Sapendo che se non la ribalti la mangi cruda o non mangi.

*Mescalina: Quali ascolti ti hanno accompagnato in questa fase di evoluzione ?
*Marco: Musica popolare italiana, dai montanari del coro Sat ai sardi Tenores de Bitti, Dylan, musica africana, musica brasiliana, blues, qualcosa di Conte, Bennato, De Gregori, Brian Eno, ma anche gli U2 o Sting, che io proprio avevo saltato a piè pari e non conoscevo affatto.

*Mescalina: Stai organizzando un tour live? E come ti presenterai sul palco?
*Marco: Si, per la nuova stagione partiremo con i concerti. Sto già facendo degli show case. Mi presenterò con le mie canzoni. Sono dotate di una loro forza. Ho avuto bei responsi sia semplicemente con chitarra e voce sia con l’intera band di 5 elementi. Non vedo l’ora. Dal vivo poi queste canzoni hanno una marcia in più, ma forse è normale. Anzi, no…

*Mescalina: Tu sei un artista dotato di talenti vari: sei anche pittore.
Che relazione c’è tra la tua pittura e la tua musica ? E anche nella pittura hai attraversato delle fasi di evoluzione in qualche modo assimilabili a quelle musicali ?
*Marco: Si può dire di si… la pittura è un grande complemento alla musica. Di norma dipingo quando devo sbloccare qualcosa, poi segue la musica.
In questi anni ho dipinto molto ad olio, in bianco e nero. Delle situazioni, quasi delle vignette in larga scala. Poi ho fatto delle piccole sculture … e poi son approdato a riempire delle tele di faccette disegnate, tutte diverse.
C’è sempre la figura umana … forse sono tutti autoritratti. si, anche quelli.