FABRIZIO COPPOLA

interviste

FABRIZIO COPPOLA Splendere e precipitare: Ismaele in tour

10/01/2017 di Ambrosia J. S. Imbornone

#FABRIZIO COPPOLA#Italiana#Canzone d`autore

Il cantautore milanese è tornato dal vivo per presentarci le nuove canzoni che portano il titolo provvisorio di Ismaele: l'amore come la balena bianca di Moby Dick può infatti "distruggerti la vita o renderla meravigliosa. O entrambe le cose", ci racconta Fabrizio. In attesa del concerto di Seregno (Arci Tambourine, 13 gennaio) in cui dividerà letteralmente il palco con l'amico Giuliano Dottori, abbiamo rivolto alcune domande al cantautore sulla semplicità profonda e la bellezza disarmante delle sue canzoni, su temi dei suoi versi, città e concerti.
Finalmente Fabrizio Coppola è tornato a suonare dal vivo: a oltre cinque anni dall’album Waterloo, il cantautore e scrittore milanese (vi avevamo parlato anche del suo romanzo d’esordio, Katana, nel 2013) ha messo insieme nuove canzoni sotto il titolo provvisorio di Ismaele e sta portando in alcune date live voce e chitarra la bellezza disarmante del suo cantautorato folk che scolpisce le parole e colpisce l’ascoltatore per l’emozione racchiusa in piccoli scrigni di sobrietà rigorosa. Come l’amico Giuliano Dottori, con cui potrete ascoltarlo in concerto all’Arci Tambourine di Seregno (MB) venerdì 13 gennaio, non ha bisogno di effetti speciali, di essere sopra le righe o di urlare, perché possa arrivare a segno. E perché possa insegnarci “a splendere e a precipitare”, i due “poli dell’esistenza”, tra cui oscilliamo e che fanno parte della nostra splendida e fragile natura umana, fallibile e meravigliosa. Abbiamo rivolto a Fabrizio alcune domande sulle sue nuove canzoni, sulle difficoltà e le opportunità che hanno di fronte i musicisti oggi, sui temi dei suoi versi, città e concerti.

Innanzitutto, bentornato alla musica dal vivo! Inutile dire che ci sei mancato. Anche ascoltando i tuoi nuovi brani, l’impressione resta che i tuoi pezzi (oggi, si direbbe con una formula banale, con maggiore “maturità”, ma in effetti le canzoni dovrebbero essere figlie delle fasi della vita che si sta attraversando) siano di una bellezza disarmante. Al di là dell’attuale versione minimale dei brani dal vivo, voce e chitarra, in generale ciò che scrivi e canti è di una semplicità che risuona molto profonda, come se scolpissi le parole. È come se le canzoni non avessero bisogno delle vesti ingombranti del pathos per esprimere qualcosa; anzi, in quella discrezione e sobrietà rigorosa, che sa molto anche di folk americano (classico come recente), i pezzi, nudi, arrivano ancora più a segno, perché suonano ancora più fragili e umani. Scrivere canzoni è un’esigenza, ma anche tutto quello che hai da dare al tuo pubblico è prezioso: non avrai mica pensato di abbandonarlo così?

Intanto ti ringrazio per l'apprezzamento. Per il resto, non saprei cosa dirti. Sto vivendo davvero alla giornata. Non faccio programmi. Se mi va di fare una cosa la faccio, altrimenti lascio perdere. Ammetto colpevolmente che non sono poche le persone che mi scrivono per dirmi che questo disco devo farlo. Per il momento faccio qualche concerto, poi vedremo. Suonare dal vivo è sempre una delle cose più belle della mia vita.

Come mai hai dato al possibile (speriamo!) nuovo album, che racchiuderebbe le nuove canzoni, il titolo provvisorio di Ismaele?

È un riferimento a Moby Dick: "Chiamatemi Ismaele". Mi sembrava una buona metafora per l'oggetto di queste canzoni, che sono le relazioni amorose. L'amore è la balena bianca, che è vittima e carnefice, preda e predatore al tempo stesso. Che può distruggerti la vita o renderla meravigliosa. O entrambe le cose.

La musica che potete ascoltare prima dell’inizio dei concerti del tour di Ismaele



Lavori nel campo dell’editoria, hai una bambina splendida, ci sono insomma altre dimensioni ovviamente nella tua vita, complementari rispetto a quella musicale. Come pensi che la tua vita e il tuo lavoro possano aver influito su quello che scrivi oggi?

Non so. Con gli anni mi sono reso conto che gli echi delle mie esperienze personali saltano fuori nelle mie canzoni molto tempo dopo. In passato ero molto più ansioso di tradurre subito in canzoni quello che mi capitava o quello che sentivo. Ora sono un po' più distaccato, tanto di solito le canzoni il modo per venire fuori lo trovano da sole, di questo sono sicuro.

Rispetto ai tuoi esordi ci sono stati tanti cambiamenti nel mondo della comunicazione: gli artisti hanno a disposizione più spazi e canali per diffondere la loro musica, tra social network, piattaforme di streaming, ecc. Però la musica continua a vendere poco e forse è ancora più difficile farsi notare rispetto a tempi in cui era più semplice orientarsi in rete e individuare il “meglio” tra le produzioni indipendenti, che oggi sono poi tantissime…Cosa ne pensi? Quali ti sembrano gli ostacoli peggiori che oggi ha davanti un musicista che voglia trovare un’etichetta e/o farsi ascoltare da un pubblico, ampliarlo, ecc.?

Non saprei cosa dirti. La regola secondo me è sempre la stessa. Se vuoi farlo, fallo. Parlando di queste cose mi piace sempre ricordare che Voltaire aveva molte meno possibilità di un qualunque giovane occidentale di oggi di riuscire a pubblicare una sua opera. Quindi credo che, indipendentemente da ciò che alla gente piace credere, non ci sia mai stata un'epoca con una tale possibilità di produrre e fruire cultura. Restando nell'ambito musicale, i concerti sono importanti. Se sei bravo dal vivo, hai qualcosa da dire e hai trovato un modo interessante per farlo, il pubblico se ne accorge. Quella è l'ultima barriera della verità per un musicista.



Mi ha colpito un dettaglio: in più canzoni ricorre il verbo “precipitare”. È presente ad esempio nelle inedite Un sasso e una croce e Meno di pochissimo (“è solo un gioco precipitare”, associata poco dopo all’immagine della vita come altalena), così come appariva in Dove l’acqua muore. Sulla tua pagina di Bandcamp campeggia ancora una citazione de L’altalena, “Non si può cadere per sempre” (e ti risparmio gli esempi di occorrenze anche di “cadere”!). Hai dichiarato di recente in un’altra intervista che ti interessa ancora parlare, tra le altre cose, di “sconfitte” (e qui non può non venirmi in mente “l’eco di Waterloo” de L’ultima battaglia). È un caso che tornino più volte questi argomenti nelle tue canzoni o effettivamente la tua attenzione si sofferma spesso sugli errori (quasi un emblema di vulnerabilità umanissima), magari anche su come si debba “imparare a splendere e a precipitare”, come canti in Un sasso e una croce, su come si debba “sapere e potere rinunciare alla perfezione”, come cantava Fabi in Costruire? E l’amore è accettare la fallibilità e le debolezze dell’altro/a?

“Precipitare” è un verbo che adoro. Mi piace come suona, è abbastanza lungo da permetterti di infilarci dentro anche due o tre note di una melodia. Errori, dolori, cadute credo siano le esperienze più importanti della vita, quelle più formative. Splendere e precipitare sono i due poli dell'esistenza, sempre a braccetto, uno accanto all'altro. Se vuoi uno devi prendere anche l'altro. E sull'amore, be', di solito è molto, molto diverso dalle idealizzazioni che se ne fanno. Bisogna essere incredibilmente forti per amare realmente qualcuno. Diciamo che già avvicinarsi a quella forza sarebbe il lavoro di una vita intera. Se sei forte puoi rinunciare a qualcosa, se sei debole rischi di passare la vita a lamentarti, che sarebbe uno spreco, anche perché la perfezione per fortuna non esiste.



La sensazione di potersi mantenere “in bilico sul filo”, l’autoconsapevolezza del “reduce” che grida di essere Ancora vivo, di esserci ancora e poter trovare la forza per resistere e andare avanti nonostante le tempeste della vita è una conquista utile dell’età adulta?

Non so. Io sono arrivato alla conclusione che l'età adulta non esiste. Il fatto è che non c'è molto altro di sensato da fare. Si va avanti. Si vive. Si cerca di onorare l'esistenza. Che è un dono non richiesto.

Nella nuova Roma raccordo anulare più che Roma, ci sono strade e paesaggi da attraversare spingendo sull’acceleratore, con la voglia non di raggiungere nuovi obiettivi o di ricostruire, ma solo di tornare verso la propria meta (anche qui torna “precipitare”, ma con un significato diverso: “c’è una luce che fa male / vorrei precipitare fino a te / non ho più voglia di star male / io vorrei rotolare fino a te”). Ne Il cielo su Milano parlavi dell’“indifferenza che comanda la città” e della ricerca di “qualcuno che guardasse in fondo agli occhi oltre quello che si vede”. Ne La ballata dell’uomoformica c’è invece una Torino invernale senza sole: è definita uno “schifo di città”, ma il sentimento di insoddisfazione e il desiderio di essere altrove nella speranza di recuperare un amore in fondo è così prevalente che plasma il pezzo e il nome della città diventa meno determinante. Quanto i luoghi delle tue canzoni sono geograficamente determinati e quanto alla fine sono simbolici e rispecchiano uno stato d’animo? E che rapporto hai oggi con Milano?

Innanzitutto, ripeto ancora una volta che Torino è una città che adoro. Il personaggio dell'Uomoformica doveva dire quella frase, era necessario dal punto di vista narrativo. Tornando alla tua domanda, ogni volta che sono in un posto che non conosco mi viene spontaneo immaginare la vita delle persone che vivono lì. Da ciò deriva questa cosa di ambientare le canzoni in diversi luoghi, che è per me una conquista recente, prima era solo Milano, Milano, Milano. Che è la mia città, è mia madre, da un punto di vista esistenziale e culturale. Ha plasmato il mio carattere e la mia sensibilità, credo di non averla mai amata quanto la amo ora. E mi sento molto fortunato di esserci nato, di averla lasciata recentemente per qualche anno e di esserci ritornato con un briciolo di saggezza in più che me la fa apprezzare più di quanto non abbia fatto in passato.



Nella splendida folk-ballad La ricompensa, orecchiabile e profonda, canti “c’è un giardino silenzioso e profumato […] puoi entrarci solamente se ti spogli del tuo dolore, se la paura lascerai”: di quante cose belle ci può privare la paura?

Di tutto, credo. La paura è sempre lì, dentro di noi, pronta a saltar fuori. E più è bello ciò che stai vivendo, più forte sarà anche lei. Credo sia normale.

Il 13 gennaio torni a suonare con Giuliano Dottori all’Arci Tambourine di Seregno (MB): quando è uscito il suo singolo Il salto riflettevo su quanto siano poetici oggi (in tempi in cui tanti sgomitano per farsi notare) gli autori che “gridano” ciò che sentono “sottovoce”, che non hanno bisogno di nessun -ismo, di nessun eccesso o di nessuna grande vetrina per colpire il bersaglio. Avete in comune proprio il fatto di non aver bisogno di essere sopra le righe, anzi, di essere ancora più emozionanti quanto più i vostri brani sono misurati e di classe, a mio avviso. In passato avete duettato dal vivo ad esempio su alcuni tra i vostri primi e splendidi pezzi come Endorfina (sua) e Cerco ancora te, ma anche in Out on the Weekend di Neil Young: quali sono le canzoni di Dottori che preferisci oggi? E canterete anche qualcosa insieme a Seregno?

Be', Giuliano è un caro amico e questo fa sì che io non possa essere obbiettivo rispetto alla sua musica. Condividiamo molte cose e ci sono diverse sue canzoni che vorrei aver scritto io per quanto rispecchiano la mia sensibilità. Al Tambourine sarà un concerto particolare, faremo un unico set insieme, ci scambieremo le canzoni, faremo dei duetti, insomma una serata speciale (almeno per noi due).



Prossime date live:
13 gennaio, Arci Tambourine, Seregno (MB) con G. Dottori
28 gennaio, Arci Pintupi, Verderio Inferiore (LC)

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