Susanna Parigi

interviste

Susanna Parigi Il nuovo disco di Susanna Parigi raccontato da lei

07/11/2022 di Laura Bianchi

#Susanna Parigi#Italiana#Canzone d`autore

Autrice, musicista, scrittrice, artista a tutto tondo: scambiare idee con Susanna Parigi è sempre un'esperienza profonda e arricchente. L'abbiamo contattata in occasione del nuovo, splendido lavoro "Caro m'è 'l sonno", ed è stata come al solito intensa e stimolante.
Innanzitutto grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande.

D. Il disco rende omaggio a un celebre sonetto di Michelangelo: puoi spiegarci il motivo di questa scelta? Secondo te c'è ancora bisogno di numi tutelari, come gli artisti del passato?

R. Sì; secondo me c'è sempre bisogno di ascoltare quello che hanno da dirci. Spesso ci stupiscono per attualità, come in questo caso Michelangelo che vuole abbandonarsi al sonno per non vedere il danno e la vergogna del suo tempo. La quartina dice così:

-Caro m'è 'l sonno, e più l'esser di sasso,

mentre che 'l danno e la vergogna dura;

non veder, non sentir m'è gran ventura;

però non mi destar, deh, parla basso.

Ho scelto questo titolo perché l'album è dedicato a persone disorientate, spaesate, senza dimora che non si ritrovano negli slogan della politica senza contenuti, nei modelli che propone la visibilità televisiva, nel consumismo compulsivo, neppure nei tatuaggi, nel conformismo dei tatuaggi, nella forma litigiosa e arrogante dell'apparire, nella religione ripetitiva dei catechismi, e spesso, neanche nella divisione linguistica imposta da certa musica. E' ovviamente ironico il titolo, però sta a significare: "per favore fatemi dormire perché non veda il declino intorno". Non è una resa, ma una presa di coscienza.

D. Hai collaborato con artisti italiani e internazionali; di quali conservi il ricordo più vivo e significativo?

R. Di Pat Metheny la gentilezza, di Noa la grande professionalità. Claudio Baglioni e Riccardo Cocciante mi hanno insegnato molto del mestiere. Avere lavorato con loro in giovanissima età è stato un grande privilegio.

D. In che senso Taketo Gohara è intervenuto nel suono complessivo del disco?

R. Credo che il suo intervento sia stato di una sensibilità rara. Quando mi ha detto che voleva costruire tutto intorno al mio pianoforte io non ero convinta perché il pianoforte timbra molto, specialmente come lo suono io, cioè in parte costruendo già un arrangiamento. Invece è riuscito a creare un mondo sonoro molto particolare, direi crepuscolare, con percussioni ritmico-tribali come io gli avevo chiesto.

D. Molte tracce del lavoro sono sostenute da un dialogo intenso fra il tuo piano e la voce, che esalta precise parole, ad esempio Senza terra o 5 % di grazia, ma, come in Ferma, o in Forse è possibile, possiamo trovare echi quasi sinfonici. Com'è stato il percorso compositivo che hai sviluppato per ottenere un risultato tanto coinvolgente?

R. Il problema è che io non posso risponderti. Lo sai perché? Perché scrivo come fossi in trance. Nel senso che non ricordo niente, ma proprio niente del mio processo creativo. Capisco che la mia testa è come un frullatore che mette insieme tutto quello che ho scritto a livello di appunti negli anni, una mole enorme di lavoro, poi fa una sintesi e la musica arriva, non so dirti da dove, e si accoppiano. Sono momenti non descrivibili a parole.

D. Parliamo anche della duttilità vocale, che, qui come negli altri tuoi lavori, è coinvolgente e ricca di sfumature. Che rapporto hai con la tua voce?

R. Io non ho mai cantato per cantare, ma per parlare, per esprimere concetti. Mi piace cantare dei testi, dare una forma musicale alle parole. Molti cantano per cantare e alcuni sono bravissimi, è molto bello, piacevole ascoltarli, ma è un altro lavoro e non fa per me.

D. Raccontaci del percorso che hanno compiuto i tuoi testi - poesie per arrivare a una forma tanto essenziale e intensa. Le tue otto canzoni sembrano altrettante istantanee di un mondo che sembra aver perduto la direzione, eppure si avverte una cura per il particolare che colpisce...

R. Sui testi sono maniaca. Ecco: non ricordo il processo iniziale di creazione, ma ricordo perfettamente quanti giorni posso lavorare per trovare la parola giusta, quella che davvero rappresenta quello che penso e che oltretutto deve "suonare". L'aspetto più difficile è non fidarmi del tutto di quello che penso. Non è facile da spiegare. A volte si crede di avere un'opinione su un argomento. Siamo convinti di quello che pensiamo. Magari ci piace quella frase per come è composta, per la sua bellezza estetica. Ma quello che mi chiedo e mi chiedo sempre: "E' davvero quello che pensi Susanna?"

D. Un'ultima domanda: dopo la pandemia, è cambiato qualcosa nel tuo modo di concepire la dimensione dal vivo? Cosa stai progettando a proposito?

R. La pandemia ha sconvolto il mondo, persino chi faceva finta di niente. Quello che forse è cambiato è la consapevolezza ancora più forte che l'unica cosa che conta davvero sono i rapporti, gli affetti, la comunità. Tutto quello che viene sottratto dal segno meno di cui parlo nella canzone Io sono il meno. Quello che toglie senso specialmente ai ragazzi che si ritrovano a vivere in un Pianeta da salvare e in una società disgregata.