interviste
Paolo Benvegnù Il coraggio di essere inutili
In attesa del nuovo album "È inutile parlare d'amore", che uscira' per Woodworm il 12 gennaio su tutte le piattaforme ed il 19 in CD e vinile, una piacevole conversazione con Paolo Benvegnu' sui temi portanti del disco, il suo nono da solista, e sul suo processo compositivo.
Come è stato il processo creativo con il collettivo Benvegnù per questo disco? Come è stata la gestazione? Quali sono state le istanze che vi hanno portato a scriverlo?È stato veramente qualcosa di necessario, parlo della scrittura primigenia dei brani, come se dopo tanti anni avessi bisogno io come scrittore. Io normalmente nel gruppo scelgo la cornice e faccio il primo tratto, il resto lo fanno loro. Avevo veramente bisogno di scrivere delle cose. La prima idea era di fare un disco che si chiamasse "Transmiserabilia": mai come in questo momento siamo splendidamente miserabili e in piena trasformazione da uomini ad altro e sono partito con quell'idea. Ad un certo punto però sono usciti brani che parlavano di altro. In tutta franchezza mi piacerebbe dire che li cercavo ma no, sono usciti, e ho capito che tutta questa volontà di stigmatizzazione, in realtà, era una mia incapacità di sentirmi all'interno di questo momento storico. Sia l'EP Solo fiori che questo disco, che è una specie di raccolta di racconti, hanno preso il loro corso, però prima ho dovuto dimenticare l'altra idea, semplicemente perché era altro. Una volta scritti i pezzi, è stata incredibile la naturalezza con cui i miei compagni hanno suonato: come se li avessero sempre sentiti.
Quindi c'è stata prima la scrittura dei pezzi, la parte testuale, e poi tutta la parte di arrangiamento.
Dei piccoli provini chitarra e voce. La cosa buffa è che abbiamo impiegato pochissimo a registrare: ad esempio il batterista Daniele [Berioli N.d.R.], che è fantastico, una persona meravigliosa, lavora: gli ho fatto sentire il brano quando è tornato dal lavoro alle 18:15. Alle 18:45 aveva già scritto la partitura. È stato come se fossero pronti a questo tipo di narrazione.
Una cosa che mi ha stupito all'ascolto è il fatto che la musica si adatta particolarmente a quello che viene detto. Ci sono dei momenti di oscurità, ma ci sono anche momenti con delle aperture pazzesche negli arrangiamenti.
Vorrei dirti che sono mirati, ma è stato tutto casuale. Non avevamo tanto tempo, ma non avremmo dovuto averne di più perché quello che è venuto fuori è uscito quasi alla prima istanza.
Parliamo della copertina del disco. Qual è il messaggio che un acquirente può esperire dal primo contatto, che è quello visivo, con l'album?
Uno dei temi di questo disco è il rapporto tra possibile e impossibile, per certi versi tra la realtà che noi vediamo e ciò che desideriamo, o che immaginiamo. L'idea di Mauro Talamonti, che è un amico e fotografo fantastico, è stata di andare sul lago Trasimeno, vicino a dove vivo, e fotografare il reale, il possibile, il lago, per metterci un elemento che rappresentasse l'impossibile, ovvero uno specchio tenuto da una persona. All'interno del lago c'è il riflesso di un canneto che si trovava sulla riva. L'idea è la rappresentazione del possibile nell'impossibile, e viceversa.
Nel presentare il disco hai dichiarato che tutto ciò che non è visto è inutile. Io penso che, se stiamo qui oggi, ha ancora senso il coraggio dell'inutilità, un'inutilità che fino a poco tempo fa era utile, ma che per come vanno le cose è stata un po' dimenticata. L'inutilità, nell'accezione eroica che le stiamo dando, è una chiave per disfarsi del pragmatismo che ci circonda, oppure è destinata ad essere sommersa, a stare nell'apnea di cui poi parli in un testo?
È destinata a essere sommersa, su questo non ho dubbi. Mi spiace, ma nella realtà l'uomo è proprio quello. L'uomo a volte si valuta per ciò che fa, ma quando si fa una valutazione in un rapporto 1:1, in una stanza per intenderci, non si valuta soltanto per quello che fa, ma si valuta anche per quello che non fa, non si valuta soltanto per quello che dice, ma soprattutto per quello che non dice. Noi ci stiamo dimenticando della lentezza dell'umano. Se l'utilità è soltanto quella che si vede, io preferisco essere inutile.
Avendo vissuto il prima e vedendo l'ora, è difficile stare nel presente senza un'ancora di salvezza che sia immaginifica.
Se noi esistiamo in un luogo, è perché immaginiamo un altrove e, viceversa, se esistiamo nell'altrove, è perché ogni tanto abbiamo i piedi in un luogo. È sempre il vecchio adagio della rampa di lancio per volare, no? Quello che a me dispiace molto è che incredibilmente non c'è davvero spazio per una realtà che non sia quella vista, mentre gli esseri umani da sempre sono anche il non visto, l'immaginato. Se cerco di darti una carezza, il fatto stesso che cerchi di darti una carezza ha un senso. Ecco che, allora, il fatto che tutto debba essere funzionale e pragmatico è veramente una distorsione della realtà.
Nella canzone Pescatori di perle si evoca l'immagine degli artisti o semplicemente delle persone che sanno riconoscere e dare valore a ciò che non piace, a ciò che non si vede. Siamo di fronte ad un'umanità che si nutre di paure, come dici nel testo, e di banalità. Sento una forte comprensione di quello che è l'uomo oggi ed anche una consapevolezza del ruolo dell'artista, che è là pronto per insegnare nuovamente a respirare a chiunque si trovi in apnea e non sappia cogliere le perle che là si nascondono. Mi confermi questa interpretazione?
Ti confermo questa visione, ma in realtà non necessariamente un artista: è più uno studente. Uno studente è colui che studia mentre altri fanno altre cose. Lo studente, che ha bisogno di qualcuno che lo istruisca, a sua volta sarà colui che darà istruzioni.
Un passaggio di testimone?
Esatto. Se diamo un valore anche all'insegnamento - e dovremmo darlo, tra l'altro, agli educatori -, ma lo spostiamo dal tipo di insegnamento, ad esempio all'educazione al sentimento, si genera la stessa diatriba che c'è tra espressione ed intrattenimento. L'essere istruito equivale probabilmente ad intrattenere, mentre l'essere educato al sentimento equivale ad esprimersi per sè e per l'altro. È più il desiderio di uno studente. Questa è una cosa succede costantemente nel nostro corpo: le cellule nuove vengono istruite dalle vecchie, fondendosi, unendosi con le informazioni di sopravvivenza; dovrebbe essere una cosa talmente naturale!
In Marlene Dietrich fai un elenco consistente di donne con vicende biografiche tristemente celebri e ci inviti ad una riflessione sul tema del femminino e sulle vessazioni che le donne hanno subíto nel corso della storia. La mia curiosità riguarda l'inserimento di un solo uomo, Rodolfo Valentino, che non ha parole, non sa aiutare e a cui si spezza il cuore. Ti chiedo come mai la scelta di Rodolfo Valentino e la sua valenza simbolica.
Essendo Rodolfo Valentino un attore del cinema muto, non ha parole. Poi c'è un aspetto, secondo me, interessante: spesso Rodolfo Valentino è a cavallo e fugge, ed è esattamente la figura del genere maschile ora e da sempre. Io comunque ho compreso, perciò è proprio un'allegoria messa apposta.
L'ho colta come profonda perché Rodolfo Valentino è il latin lover, il famoso conquistatore. Ma c'è questo sommerso, un senso di impotenza nel poter aiutare il genere femminile nelle sue istanze, anche creative.
Ed anche una certa vacuità. Io adesso sono un padre, ho avuto un padre, ho avuto un nonno e me li ricordo. Gli esseri umani di genere maschile sono sempre in fuga, forse, da un determinato punto di vista, perché noi siamo funzionali, ma è chiaro che la cosa varia da caso a caso. Quello che vedo io anche in me è che siamo in fuga e che molte volte non riusciamo realmente a comprendere il femminile. E perché non riusciamo a comprenderlo? Innanzitutto, perché il femminile ha una sua cosmogonia. Voi vi muovete secondo il movimento della Luna, non è miracoloso questo? Non è incredibile questo? Gli esseri umani si stupiscono delle maree che si muovono con la luna e non si rendono conto che il miracolo ce l'hanno di fianco e che nascono da un miracolo. Tutte queste considerazioni sono all'interno di Marlene Dietrich.
C'è nella nostra epoca, questo dualismo. Ci dividiamo in categorie, in questo caso maschile e femminile anche in alcune religioni.
Hai colto benissimo. Io ho un femminile molto sviluppato, ad esempio, son convinto di questa cosa. Il discorso non è strettamente legato alla sensibilità, ma proprio alla mia maniera di vivere. Noi siamo mescolati, questa cosa del non comprendersi è veramente una follia legata anche alla società, capisci? Noi ci dovremmo veramente muovere prima verso l'armonia dell'individuo, poi di relazione e poi sociale. Dobbiamo essere molto più semplici di quello che pensiamo, ma è una cosa che gli uomini ancora non hanno sperimentato.
Ci sono due featuring nell'album, uno con Dario Brunori e uno con Neri Marcorè. Come mai hai scelto loro e come è stato lavorarci assieme?
In primis ci hanno scelto loro per grazia e fortuna. Io e i miei compagni abbiamo proposto loro di capire se la loro sensibilità poteva venire toccata da questi brani. Dario in Nell'oceano ha trovato una sua idea, è come se avesse capito un'appartenenza, seppur con la diversità rispetto alla mia appartenenza in quel brano, e perciò è stato così fantastico e generoso da trovare tre ore per cantare questo pezzo. È stata, per quanto mi riguarda, una cosa di cui sono veramente grato, perché tra milioni di cose da fare ha trovato il tempo per vedere dei naufraghi su una zattera e dar loro una mano, e questo è veramente, umanamente, qualcosa di straordinario. In più, per me, ha fatto un lavoro bellissimo.
È vero. Io ho ascoltato al buio, non sapevo che fosse lui e quando l'ho riconosciuto mi sono detta: "È incredibile". Ha un ruolo importante nell'economia del pezzo.
Non solo. Io e lui, anche se ci conosciamo da tanto tempo, abbiamo una formazione diversa nel respiro, nell'attesa della pausa, ed è una cosa bellissima questa diversità. È veramente un bel "do ut des" e con Neri Marcorè più o meno è successa la stessa cosa, con la differenza che Luca [Baldini N.d.R.], che è il bassista dei Benvegnù, ma è anche il motore del nostro gruppo, anche dal punto di vista organizzativo - e a proposito di questo organizza degli spettacoli teatrali in Toscana - ha organizzato uno spettacolo di Neri Marcorè. Quando Neri ha saputo che lui suonava con i Benvegnù, è rimasto interessato ed ha chiesto a Luca se potesse ascoltare dei brani. Io pensavo che 27/12 potesse entrare nella sua sensibilità, e non solo ci è entrato, l'ha cantato con una leggerezza che io non ho più.
Però è intenso, è quella leggerezza che ha spessore quasi calviniano.
Esattamente, hai proprio colto. Anche lui, tra l'altro, era impegnato tra un set cinematografico ed uno spettacolo di teatro quando l'ha registrato. Veramente una generosità incredibile: a volte si parla di esseri umani che hanno la particolarità di avere l'attenzione per l'altro e in questo caso sia Dario che Neri hanno dimostrato una grande attenzione verso il più debole, sono molto felice. Non parlo di debolezza di posizione, nel senso che eravamo noi gli anelanti a.
In Canzoni brutte, fai un'ammissione disfunzionale: ti arrendi ad un'improbabilità di raggiungimento di un traguardo. Scrivere canzoni brutte può essere un traguardo per un artista, dove per brutte si intende - senza offesa - piene di slogan, volte più ad un concetto di marketing ed alla quantità di streaming piuttosto che alla qualità, al contenuto e al messaggio?
Sì, è un traguardo e hai detto bene: un artista, nel senso di uno che fa arte, non è arte: fa arte, artefà. Quando ho scritto questo brano avevo ben presente questa cosa: che mi piacerebbe essere qualcosa e non fare qualcosa.
C'è una differenza di posizione e di vedute. Non ti penserei mai capace di trovarti bene in un mondo del genere.
Decisamente. Non ho quel talento di fiamma che incuriosisce la massa. So che ho dei limiti nella velocità e ho dei limiti nella non volontà di seduzione. Io non sono un seduttore e questo per me è un tratto di merito, ma in questa società è un tratto di demerito.
Eppure, io nella parola, nella capacità di parola, nella capacità di scegliere anche le parole nella costruzione di un testo trovo una seduttività impressionante. Quelli che non fanno slogan, che pensano mille volte prima di inserire una parola in un testo, hanno un potere seduttivo molto più ampio rispetto a quello che viene glorificato generalmente oggi.
Sta nello stato delle cose, ma non è un problema. Io non ho una sofferenza riguardo a questo. Se devo pensarmi come un animale, io mi sento come un bue che ara un campo: sicuramente non è elegante quanto un giaguaro o un cavallo in corsa, ma sta arando un campo e potrà aiutare a dare da mangiare.
Ora, a gennaio, sarai in tour ed inizierai dal Glue di Firenze. Cosa si può aspettare chi ti verrà a vedere e ad ascoltare?
Questo è un disco che abbiamo registrato con un sacco di gioia, anche un po' portati dalla commozione di questa volontà comune che avevamo. Noi siamo molto uniti, ma non è quello il punto: il fatto è che eravamo sempre sul luogo di stupirci per ogni cosa; perciò, io mi auguro che se qualcuno verrà a vedere i concerti avrà lo stesso afflato, che possa essere colpito da questa cosa che non succede spesso, specialmente negli ultimi anni. Mi aspetto che noi saremo capaci di mantenere questa cosa e di riuscire, dove ci sono degli spazi un po' più grandi, a mantenere quel senso di intimità che si verifica ogni volta in luoghi chiusi.
Nelle immagini che ritornano spesso nei testi c'è il bambino, lo stupore del bambino, questa meraviglia; quindi, anche la speranza che il pubblico riesca a meravigliarsi e torni un po' fanciullino?
A me piacerebbe tanto, non per una volontà di regressione dal punto di vista dell'età, ma più dal punto di vista della regressione del pre-pensiero, cioè quando ogni cosa ti stupisce, e io devo dire sono così fortunato che la serenità mi sta portando a questo, perciò sono felicissimo.
Ti ringrazio per la disponibilità per la simpatia e per la gentilezza.
Grazie a te.
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Foto di Mauro Talamonti