Esterina

interviste

Esterina Concerti per esseri umani

05/08/2021 di Ambrosia J. S. Imbornone

#Esterina#Italiana#Canzone d`autore

La scorsa estate gli esterina tennero nove concerti, per nove venerdi' consecutivi, in campagna, in provincia di Lucca, suonando in elettrico con un impianto per 1000 persone, davanti a 50-60 persone per data, ben distanziate su presse di fieno. L'ultimo di questi live e' diventato un documentario e un disco live, che dimostrano una volta in piu' lo spessore e la magia della musica della band, tra post-rock e cantautorato, momenti dolceamari e vertiginosi, accorati ed esplosivi, realismo e malinconia, poesia scarna e dolorosa. Ne abbiamo parlato con Fabio Angeli.
Era l’11 settembre 2020 quando gli esterina tennero l’ultimo dei nove Concerti di Rietto, che poi è diventato un album live per Curaro Dischi con il titolo Concerti per esseri umani. Dopo i mesi del lockdown per la pandemia da Covid-19, che avevano paralizzato il mondo della musica, in un’estate che nel documentario sul tour, Tutti i venerdì – esterina suona a casa sua, viene definita “monca” e “catartica” per le tante restrizioni per il contenimento e la prevenzione del contagio, la band decise infatti di realizzare “una tournee impossibile, fatta stando fermi”. Non fu infatti il gruppo versiliese a spostarsi, ma furono gli spettatori a convenire da tutt’Italia nel campo vicino alla loro sala prove, per nove date a Massarosa, in provincia di Lucca, in cui ascoltare brani tratti dal quarto album Canzoni per esseri umani, così come dagli altri tre dischi precedenti. Per nove venerdì consecutivi la band ha accolto in campagna i suoi fan, un pubblico contingentato di 50-60 persone circa per data, sedute e distanziate su 50-60 presse di fieno, per 18 ore di musica dal vivo, per un concerto elettrico suonato con un impianto per 1000 persone, nel silenzio della campagna toscana. Le nove date, per cui era possibile prenotarsi sul sito esterina.it, furono tutte sold out.

Il rockumentary Tutti i venerdì, della durata di mezz’ora e diretto da Red Planet Production, pone una domanda fondamentale come “Si può fare senza?”, cioè si può vivere senza la musica e senza la musica dal vivo? E la risposta è implicitamente “no”, come attesta un’impresa che è testimonianza di esistenza e di resistenza, perché la musica ha attraversato e avrebbe vissuto poi in seguito momenti molto difficili, ma è un’esigenza, per musicisti e ascoltatori, ed è indispensabile, come il sole e l’aria che vivificano la campagna toscana.



Il documentario racconta allora com’è nata l’idea di accogliere gli spettatori proprio tra i suoni e i colori della natura nel campo accanto alla sala prove, dove gli esterina suonano fin dal 2007, e com’è stata materialmente realizzata, con la preparazione fin dal primo pomeriggio dell’insolita e suggestiva location nella campagna assolata, tra balle di fieno e lucine, in un’organizzazione accurata e in qualche modo appunto “casalinga”. Prima del concerto agli spettatori era anche servito un piatto di pasta e un bicchiere di vino, inclusi nel prezzo del biglietto, così come era offerta una sigaretta ai fumatori, in un clima assolutamente amichevole e rilassato. Nel video si vede anche il momento forse più triste, quello in cui si smonta tutto con un pizzico di malinconia, che negli spettatori del video diventa magari anche il rimpianto di non essere stati lì a godere di un’atmosfera così preziosa e magica, per ascoltare una band originale e di grande pregio, che si muove “tra ricerca musicale e parola cantata”.

Nel documentario si ascolta anche una canzone inedita, La mia ragazza, che farà parte poi del quinto album degli esterina; è un abbraccio di sonorità acustiche, piene di sole, a cui si aggiungono poi chitarre elettriche dal tocco accorato, intimo e quasi visionario, in un inno all’autenticità, alla bellezza, alla libertà e all’indipendenza.

Nel disco Concerti per esseri umani si apprezza una volta in più la musica del gruppo e lo spessore del suo progetto artistico, tra post-rock e cantautorato, arpeggi struggenti, crescendo dolceamari, vertiginosi affreschi scuri di chitarre elettriche a pennellate generose, versi con immagini emblematiche e inusuali che impastano realismo e malinconia, poesia scarna e dolorosa, imperfezioni, gioia e fatica di vivere. Si ascoltano synth appunto malinconici e un’esplosione di chitarre dolenti in Più di me (da Canzoni per esseri umani), per cantare il “rivale” sicuro, colto, divertente e solare, che apre le porte alla “perfetta” vita borghese, in cui si “ricovera” l’intelligenza e si celebra “l’onomastico dell’obbedienza”.

Si percepisce l’intensità drammatica e palpabile di Nodata (tratta dal primo album del 2008, Diferoedibotte come Fero e Sono come vuoi che sia), nell’interpretazione e nella lunga coda strumentale, e quella bruciante di Dio ti salvi (dall’omonima uscita del 2015). Ci si muove tra le distorsioni prepotenti di Il vuoto intorno (da Come satura del 2011), tra rallentamenti e accelerazioni che sottolineano le parole (v. Sì che lo merita), tra i synth guizzanti, l’interpretazione lancinante fino allo spasimo e l’ottima, frenetica base ritmica di Sono come vuoi che sia, così come tra i sintetizzatori tesi che aprono Santo amore degli abissi, con i suoi riff alt-rock e la sua celebrazione della “bellezza impervia e vertiginosa dei tesori” da rintracciare negli abissi, anche quando sembrano irraggiungibili, cogliendo l’attimo. La chiusura trionfale è affidata al magma di distorsioni abbacinanti dei dieci minuti di Salutarti.

Gli esterina sono:

Fabio Angeli, voce e chitarra
Massimiliano Grasso
, tastiere, chitarra e voce
Giovanni Bianchini
, batteria
Luca Giometti
, chitarra e synth
Daniele Pacini
, basso e synth.

Abbiamo rivolto alcune domande a Fabio Angeli sull’esperienza dei concerti di Rietto, l’album live, il rapporto con i loro spettatori e con le foto, e altro ancora.



Mescalina: Avevate registrato un primo album live il 25/12/2008 in una chiesa del X secolo nel cuore segreto di Lucca, Indecorose, esterina senza corente; affascinati dalle “condizioni estreme”, questa volta avete registrato invece l’ultimo dei nove concerti di Rietto, organizzati in campagna, nel terreno adiacente alla sala prove, tra Lucca e Viareggio. Avete lasciato, anzi, un doppio documento musicale di quella che avete definito una “microscopica epopea”, il documentario Tutti i venerdì e il disco Concerti per essere umani: quanto è stato importante non solo per i vostri estimatori, ma anche e soprattutto per voi lasciare questa doppia traccia della vostra r-esistenza, dell’esistenza dei musicisti in un periodo in cui erano stati e per altri mesi poi sono tornati a essere in qualche modo invisibili? Resterà in qualche modo una testimonianza anche del silenzio della musica, della sua ripartenza, del distanziamento necessario tra gli spettatori… e nel documentario si afferma anche che questa tournee, “fatta stando fermi”, è stata ideata perché era “necessario tornare per rimanere vivi”…

Fabio: Nel 2008 avevamo appena registrato il nostro primo disco e organizzammo questo concerto nel giro di pochi giorni progettando un set acustico che consentisse alle nostre canzoni di essere suonate nella chiesa di Santa Giulia senza demolirla, una chiesa di origine longobarda nel centro di Lucca, una meraviglia. Decidemmo anche di registrare per sentire “come veniva”, divenne un disco che oggi ha un fratello elettrico, Concerti per esseri umani.

Diventò necessario suonare, nel 2008, la sera di Natale e diventò un’avventura di ogni anno per noi insieme ai tipi della Caritas di Lucca. Eravamo inconsapevoli e quel concerto cambiò la nostra vita, musicalmente parlando, mettendoci davanti alla forza della nostra musica.

Con Concerti per esseri umani le cose sono andate un po’ diversamente: abbiamo scelto di esercitare la nostra volontà di rimanere vivi come musicisti. Siamo musicisti perché si suona, non perché ci ascoltano su Spotify e abbiamo deciso, stavolta consapevolmente, di esercitare il potere che avevamo sulle nostre esistenze, producendo una soluzione che prima non c’era: suonare in un campo accanto alla nostra sala prove. Noi siamo piccolissimi, non abbiamo contratti o carriere da governare, così abbiamo deciso di fare come ci pareva nel rispetto delle norme e abbiamo prodotto nove concerti per 60 persone alla volta. Questo.

Mescalina: I vostri due album live sono accomunati dal packaging con la confezione di cartone ondulato, ma anche dal cominciare entrambi con Fero: è una canzone con cui aprite spesso i vostri concerti, o comunque è una coincidenza e simmetria voluta?
 
Fabio: Fero è un caso. Nell’ultimo nostro disco dal vivo abbiamo organizzato la tracklist a partire dalla setlist dei concerti dove iniziavamo con Fero: anche quel Natale iniziammo così. Quest'anno non lo suoniamo, per esempio.

Per il packaging dei dischi live, che progettammo noi più di una dozzina di anni fa, abbiamo deciso di mantenerlo e di uscire, nel caso di altri live, sempre in questo modo.



Mescalina: Il packaging del live ha la paglia dentro, perché gli spettatori dei concerti di Rietto erano seduti su delle presse di fieno; ricordando l’esperienza di questi eventi programmati per nove venerdì dell’estate 2020, avete anche parlato dell’odore dell’erba tagliata: l’idea del fieno è connessa alla volontà di rammentare la fisicità del live dopo mesi di lockdown, di sottolineare come insomma i concerti, nella loro magia irripetibile, siano esperienze multisensoriali che immergono in un’atmosfera e in uno scenario e non siano comparabili con gli eventi in streaming? Concerti online comunque ne avete fatti anche voi, come tanti artisti, perché costituissero un “elemento di normalità” nella vita degli appassionati di musica e per rimanere in contatto con i vostri estimatori.

Fabio: I concerti di Rietto, con la loro paglia e la loro magia, sono stati un elemento di microscopica regolarità in un orizzonte di totale incertezza che ancora perdura, una dichiarazione di volontà sul reale senza considerare le conseguenze a parte quelle sanitarie. Abbiamo detto: “Di venerdì si suona, noi siamo questa cosa qui, chi vuole può venire a vedere e ascoltare, dare una mano. Queste sono le regole”. Ci siamo organizzati, con il legno, il fieno, gli amici, il nostro sito e abbiamo iniziato a suonare. La paglia ricorda che basta poco per fare diverso e che in un campo, su delle presse di fieno nell’estate 2020 più di 500 persone in 9 appuntamenti hanno visto un gruppo suonare, mentre infuriava la pandemia.

Mescalina: Il disco live si intitola appunto Concerti per esseri umani, richiamando il titolo del vostro quarto album in studio, Canzoni per esseri umani; sul booklet/poster del cd c’è scritto “La musica da sola non serve a niente, con le persone è l’umanità”: la musica in generale è nata indubbiamente per i concerti, anche se poi i supporti l’hanno resa riproducibile all’infinito. Quanto vi è mancato il pubblico e quanto l’arte ci può aiutare a restare e sentirci umani, in tempi spesso alienanti, dominati non tanto dalla solidarietà, ma dall’egoismo, quand’anche non dalla solitudine davanti a uno schermo luminoso?

Fabio: Vivendo una condizione di marginalità, paradossalmente, abbiamo suonato di più in pandemia che a cose normali. Durante i mesi di lockdown abbiamo cercato di rimanere quelli che siamo, un gruppo di amici che, invece di provare due volte a settimana, si sentiva in call la sera alle 9.00. Ci si chiedeva come si stava, si ragionava di musica, delle nostre cose e di progetti. Lì sono nati i nostri concerti. Suonare in streaming in pieno lockdown è stato dire “ci siamo”, suonare a Rietto d’estate è dire “chi siamo”.

Per quanto riguarda la riproducibilità tecnica della musica e dell’arte, c’è tutta una letteratura che ha detto molte cose più interessanti di quelle che potrei dire io adesso; aggiungo solo che bisogna stare attenti perché il digitale è sicuramente un’opportunità, la grande disponibilità di musica è come avere a disposizione una gigantesca mappa, si può andare ovunque, si può viaggiare per quel mondo con quella mappa, ma la mappa non è il viaggio, è un mezzo.



Mescalina: Che effetto vi ha fatto tenere in un luogo così quieto un concerto elettrico, ricco di distorsioni, accelerazioni, “esplosioni” di chitarre, con un impianto per mille persone? È stato un po’ come essere su un altro pianeta, quello di esterina?

Fabio: Suonare con quei volumi davanti gente seduta su delle presse di fieno è una cosa molto bella. Qui sta la novità, quella meno “compresa”, dell’operazione Rietto. Non abbiamo messo su dei concerti in versione ridotta – non solo per il numero degli spettatori – con le nostre canzoni, chitarra e voce o un reading. Abbiamo messo 60 persona alla volta a sedere su delle presse davanti ad un concerto rock con un impianto per 1000 persone. Un cartello luminoso indicava la fase dello spettacolo dove ci si trovava (inizio - prima - concerto - dopo - fine). A Rietto una lampadina si accende per dire dove sei, ti puoi perdere nello spazio-tempo dell’enclave esterina.

Mescalina: Nella confezione dell’album c’è anche un adesivo con la scritta “Qui si ascolta esterina”: tra anni ’90 e anni Zero adesivi e spillette erano sicuramente molto diffusi, mentre ora lo sono meno. Non è un segnale che non sempre oggi la musica susciti appunto questo orgoglio di esibire i propri ascolti, di appartenere a una nicchia di fan, di mostrare in qualche modo la propria identità di gusti e ascolti? Nella vostra musica ci si identifica sicuramente, il vostro è un microcosmo di sonorità e storie molto ben riconoscibile, con le sue chitarre struggenti al contempo potenti, e voi avete appunto grande cura anche per questi aspetti grafici e formali che possono rendere speciale un cd e dare motivi in più per acquistarlo, ma in generale non si dovrebbe e potrebbe puntare maggiormente sul legame con il pubblico, sulla sua fidelizzazione in qualche modo e sul costruire un’identità e un immaginario condiviso?

Fabio: esterina non ha un pubblico che si possa ritenere tale. Se lo avesse, avrebbe un’etichetta discografica come molti altri gruppi e avrebbe una circolazione diversa da quella che ha avuto fino ad oggi e probabilmente avrà. Non è un pubblico, il nostro, ma un privato, persone che non fanno parte di non un target preciso: giovani, trentenni, giovanissimi, sessantenni, appassionati di musica.
L’adesivo è un gioco proprio per fare dell’autoironia con queste persone, questi “privati”, che a volte fanno un sacco di chilometri per venirci a cercare e magari nelle proprie case potranno appiccicare questo adesivo per dire: sono uno di loro, che non significherà nulla per i più. L’adesivo è per divertirsi più che un’operazione di marketing.



Mescalina: Nel libretto/poster dell’album appare per la prima volta una vostra foto ad accompagnare un vostro disco. Come vi trovate come musicisti a vivere in un’epoca in cui, messo da tempo da parte un bellissimo sito per la musica come MySpace, le parole e le canzoni sembrano essere sempre meno importanti sui social network, dato che si usano anche e soprattutto piattaforme in cui conta specialmente l’immagine, tra video e foto?

Fabio: La foto che abbiamo pubblicato, con deroga, è una rara immagine dove siamo tutti insieme occupati a suonare su un palco. Visto che quel palco l’abbiamo costruito noi, facendogli posto in un campo e mettendoci davanti delle presse di fieno per far sedere le persone, ci sembrava dirimente spiegare cosa era successo con una foto che ci ritraesse e documentasse quella vicenda. Per poi tornare, con calma, a una delle tante nostre battaglie perse, ovvero evitare di pubblicare le nostre foto sui nostri dischi.
 

Mescalina: Com’è nata l’idea del video de La mia ragazza (girato da Francesco Trombetti e Laura Ponce Huerta), con la pianta a Barcellona che si sposta e resiste con un bicchiere d’acqua a settimana, attraversa la strada sulle strisce e i parchi, va in bici, in metro, in treno, in un minimarket, in montagna fino alla cima del Massiccio del Montseny, tra la nebbia e il vento, sotto il sole e la luna? A me è sembrato un emblema di semplicità, libertà e resistenza, come la protagonista della canzone, ma anche come quella esterina che presentavate come una donna che “vive sola, per quanto ne è capace”, che “dorme nella casa sul limite del bosco da dove si vede il mare di Viareggio, dove ci sono i signori, dove le donne sono confezioni da accompagnare, dove gli uomini si sono arresi. Lei no”. Inoltre il video mi ha fatto pensare anche alla resistenza della musica, alla forza della sua bellezza, visto che tra l’altro la ragazza del brano “vuole ascoltare tutta la musica che noi possiamo fare” e chiede di cantare la sua canzone preferita, che comprende e racconta tutta la sua vita.

Fabio: Francesco Trombetti è un amico e ha già girato per noi due video bellissimi (Sovrapporre, Santo amore degli abissi) vive e lavora a Barcellona da qualche anno. Ci siamo sentiti durante la pandemia e un giorno d’inverno ho saputo che era a Bologna in zona arancio. L’ho chiamato e visto che non si poteva uscire dai confini regionali ci siamo trovati sul confine, tra la Toscana e l’Emilia nei pressi di Porretta Terme. Era un po’ di tempo che non ci si vedeva e abbiamo fatto qualche progetto; uno di questo è il video de La mia ragazza. Ha scritto lui un soggetto in base alle possibilità che aveva per girarlo in una Barcellona in pandemia ed è uscita questa cosa che racconta il suo sguardo sulle cose, la città dove vive adesso, il lavoro di fotografo insieme a Laura Ponce Heurta e la nostra canzone che veniva da lontano.

Mescalina: Nella scaletta del concerto di Rietto dell’11 settembre, c’erano anche alcune canzoni che non sono confluite in Concerti per esseri umani, perché non rientravano nella durata massima di un cd e perché sono inedite e saranno incluse nel prossimo album, il vostro quinto lavoro in studio. Cosa ci potete anticipare sul disco? Sarà pubblicato nei primi mesi del 2022?

Fabio: Suoniamo spesso, in anticipo sulla pubblicazione, le canzoni a cui stiamo lavorando. Stiamo preparando il nuovo disco, speriamo di poterlo pubblicare nei primi mesi del 2022.



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