Zerocalcare

Zerocalcare No Sleep Till Shengal


Bao Publishing, 2022, pagg. 208, 23 euro Societ� | Narrativa Italiana | Grafica

24/01/2023 di Valerio Corbetta
Lo stile è quello ormai noto e consolidato da anni di pubblicazione dei “disegnetti”, come li chiama lui: asciutto, diretto, profondo nell’analisi che con pochi tratti fissa i personaggi graficamente e strutturalmente nel racconto.

Lui è Michele Rech, in arte Zerocalcare, uscito ormai dalla nicchia di autore di culto per divenire personaggio a tutto tondo nel mondo della comunicazione, grazie anche e soprattutto alla serie Netflix “Strappare lungo i bordi” che lo ha sdoganato presso il pubblico delle piattaforme multimediali.

Ma la notorietà pare non averlo cambiato per nulla, stando anche alla lettura di quest’ultima sua opera, No Sleep Till Shengal, che richiama e doppia, per tematiche e modo di affrontarle, Kobane Calling, pubblicato nel 2015. Allora si
viaggiava verso Rojava (nel Kurdistan, al confine turco-siriano) per raccontare al mondo di una guerra nascosta, minimale, che non interessa a nessuno se non alle minoranze coinvolte e dimenticate dal resto del mondo.

Qui “Zero” torna in quella parte del Medioriente (“la Mesopotamia”, come a lui piace chiamarla nel corso della storia) stavolta per scoprire e quindi raccontare a noi, che nulla ne sapevamo, della lotta di un popolo, gli Ezidi, che ha riconquistato un pezzo di (propria) terra all’Isis e ora è costretto a fare altrettanto, difendendosi dalla pretesa iraniano-turco-siriana di cancellare l’autogoverno che si sono costruiti in quel fazzoletto dimenticato da tutti.

Un modello di democrazia che chiamano “confederalismo democratico”, simile a quello curdo, che prevede il pieno coinvolgimento nelle attività pubbliche delle donne, vere protagoniste del bianco e nero usato da Zerocalcare. Dipinte con quell’alternanza di battute feroci, autoironia, passaggi di alleggerimento che servono a controbilanciare la profondità delle tematiche affrontate e la durezza di una realtà che, grazie ai disegnetti, supera le barriere ed i confini imposti dalla politica per arrivare fino a noi.

“Zero”, per giustificare il viaggio e la presenza in quei luoghi, racconta alle autorità irachene che lo controllano ad ogni passo, di essere un giornalista “per evità de farmi strappà le unghie”, e come tale viene gestito e sballottato tra interviste libere o forzate alle forze libere e a quelle che vorrebbero ostacolarle.

La realtà è che questo libro è una vera e propria inchiesta sul campo, degna dei migliori reportage nelle zone di guerra dei professionisti della notizia che girano con giubbotto antiproiettile e caschetto in kevlar, mentre attorno fischiano i proiettili e cadono le granate. Solo che “Zero”, partendo da Rebibbia (intesa come quartiere dove vive), ce lo racconta con leggerezza come se si trattasse di una gita fuoriporta la domenica sui colli attorno a Roma. E questo la rende, se possibile, ancora più gloriosa.


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