Tugba Dogan

Tugba Dogan Il bistro` delle delizie


Carbonio Editore, Collana Cielo stellato, Traduzione Nicola Verderame, 2022, pp. 168, 15 euro Narrativa Straniera | Romanzo

01/06/2022 di Ambrosia J. S. Imbornone
È arrivato anche in Italia, edito da Carbonio con la traduzione di Nicola Verderame nella collana “Cielo stellato”,  Il bistro' delle delizie, un  libro che è stato un caso editoriale in Turchia, con oltre 10.000 copie vendute e sei ristampe in poco più di un anno.

Si tratta del secondo romanzo della scrittrice Tugba Dogan, classe 1981, che aveva già ricevuto con il libro d’esordio, Musa'nin Uykusu, la Menzione d’onore del premio letterario Notre Dame de Sion nel 2015.

Il ristorante a conduzione familiare del titolo, con i suoi sapori e le sue atmosfere, è quasi un altro personaggio del romanzo, il luogo più amato dal protagonista Salih, che lì festeggia con gli amici la decisione di partire per il Brasile, lasciando la Turchia, presentata come un Paese dove “nulla scorreva più” e “nemmeno un’Apocalisse riusciva a scoppiare in tutto e per tutto”.

Salih è un cronista che è stato licenziato dal giornale per cui lavorava da ben sedici anni, un intellettuale, che si sente tradito e respinto da un Paese che non lo ama, ma lo respinge ai margini: “Sono stufo che chi usa la testa, chi si rifiuta di vendere il proprio pensiero, sia accusato, finisca per essere nel torto, venga additato, minacciato, castrato”. “Questa terra non ha mai accolto chi legge, chi pensa, chi è illuminato, l’intellettuale il presunto tale. Lo ha sempre sminuito. Lo ha sempre considerato fuori dal tempo, fuori dalla realtà. Non l’ha mai preso sul serio, l’ha sempre sbeffeggiato”, aggiunge ancora Salih. E ancora: “La terra mi ha estromessa, mi hanno estromesso le persone, l’acqua, l’aria, gli animali per la via e i partiti politici. Tutti mi hanno estromesso. Senza che io avessi fatto nulla, semplicemente in quanto me stesso”. Allora, e da tempo, era ormai diventato “un cittadino della nazione virtuale, senza terra né inno né bandiera, di coloro che volevano partire”.

Se il protagonista non sopporta la mediocrità e la superficialità neanche in sé, nella società vede trionfare il supereroe con una M cucita sul costume, cioè il Medio-man, l’uomo mediocre che riusciva a pronunciare tante parole che non significavano nulla e a tirare avanti senza infastidire nessuno, fiutando sempre per tempo i pericoli e facendosi amici tra i potenti, fino a diventare un opinion leader.

La società turca però è solo uno degli argomenti del libro: nel romanzo si intrecciano e fondono dialoghi e punti di vista, le parole dei personaggi e quelle della voce narrante, prima e terza persona, per raccontare pian piano in una serie di flashback tante storie, tra colpi di scena e sensi di colpa, dolori e ricordi, amore e nostalgia.

La seconda parte del romanzo è infatti più intima, delicata e sognante, quando si torna indietro nel tempo per raccontare un incontro che aveva regalato a Salih un nuovo sguardo sul mondo, uno di quegli incontri che ognuno desidera per “credere di non essere più una persona ordinaria”. E la seconda parte del libro ti canta dentro una “canzone bella da fare male”, la melodia che Salih portava ormai dentro di sé, quella di “un futuro ormai abbandonato”: “Deve essere questo il flagello più estremo: provare nostalgia di esperienze che non si conosceranno mai, nostalgia non del passato ma del futuro”, pensa Salih.

Ai dialoghi e alla narrazione degli eventi si alternano d’altronde riflessioni esistenziali, che hanno quasi un sapore filosofico e talora rappresentano uno sprazzo quasi saggistico, ma non appesantiscono le pagine, anzi, ne fanno una porta per entrare con naturalezza nella profondità delle idee del protagonista, per farci vivere i suoi dubbi e i suoi tormenti, incarnati dal demone, o meglio dalla voce del mondo esterno che gli parla dentro, che individua un modo per manomettere la sua felicità (o meglio è quello che Salih preferisce credere), uno gnomo che gli ripete sempre le stesse parole: “Non ha funzionato”. Questa voce in realtà lo aiuta anche a scavare tra i ricordi, ci conduce nelle pieghe della sua infanzia, ci porta non a Occidente, nel futuro, ma a Oriente, nel passato. Fino alla conclusione del libro…

Questo è un romanzo introspettivo, di pensieri e parole, di lettere e dialoghi, di immagini suggestive, di stati d’animo e sapori, più che di azioni, un romanzo che presenta punti di vista e percorsi di vita, incontri e scontri, pregiudizi e sofferenze, desideri e fallimenti, in una narrazione profonda, ma anche snella, incisiva e affascinante nello stile, nel modo di ritrarre anche con poche pennellate i colori di un’interiorità, anche nel caso di personaggi minori, che appaiono di sfuggita e sono appena citati.

La scrittrice abbraccia la realtà in tanti aspetti diversi, culturali, sociali e personali, presentandoci scorci di classi sociali e storie individuali, fragilità e conflitti, reali o intimi e invisibili. Vibrano nelle parole di alcuni personaggi tracce di una saggezza senza tempo e riflessioni taglienti sul presente, la malinconia che talora si porta addosso e la necessità a volte semplicemente di accettare ciò che manca. Una lettura consigliata, che vi accoglierà nel Bistrò delle delizie e nella vita interiore di chi gestisce il ristorante e dei suoi più fedeli clienti.