Roberto Arcuri

Roberto Arcuri Philology Jazz Records. Storia di un`etichetta discografica italiana, nota in tutto il mondo


autopubblicato, 2023, 213 pagine, 22 euro Musica | Biografie

12/09/2023 di Franco Bergoglio
Marcel Mauss, il saggio sul dono. Il Potlatch dei nativi americani dove si regala il meglio di quanto si possiede. L’open source, volendo. Il dare ad altri senza aspettarsi nulla in cambio è forse uno dei principi cardine dell’umanità e contrasta per quanto possibile gli istinti di appropriazione e accumulazione. Ce lo dimentichiamo spesso e volentieri perché la società in cui viviamo questo principio non lo tollera proprio, lo nasconde, lo relega al primitivo. Eppure il dono è uno dei motivi per il quale il jazz ha avuto un progresso così spettacoloso nei suoi poco più di cent’anni di esistenza pubblica.

Certo i musicisti donano le note, la creatività, gli sprazzi di genio assoluto, ma quello è il loro destino e non sono i soli che nel calderone ribollente del jazz buttano se stessi, senza aspettarsi nulla in cambio. Spesso mi chiedo infatti cosa sarebbe il jazz senza il manipolo di appassionati che ha dato tempo, soldi, energie -in qualche caso vite intere- a questa musica spinto da puro amore, dal desiderio di vederla crescere e prosperare. Ci sono stati intellettuali, sodali di bevute, infermieri, amanti, passeggeri, spettatori casuali, baronesse, operai col pallino di suonare, notai, qualche ladro gentiluomo, avvocati, mecenati, baristi, una folla di cuori generosi sempre pronti a donare qualcosa al jazz! In molti hanno regalato il proprio meglio al jazz e molti di questi riti di condivisione hanno al centro il feticcio disco. Questo capitava fin dai tempi della preistoria discografica quando il membro del gruppo più benestante comprava un 78 giri e lo metteva a disposizione dei suoi amici jazzofili che tutti in cerchio lo consumavano, ascolto dopo ascolto. Se il sacerdote
celebrava il rito pubblico del disco, ci voleva però uno stregone che facesse entrare la magia nel solco nero, e qui si materializza la figura del produttore.

Il produttore è la bacchetta magica che fissa per sempre le volubili note suonate in studio di registrazione in vinile scolpito. Il produttore normalmente nasce amando la musica, ma poi con gli anni la vocazione, si sa, tende a indebolirsi e quindi molti iniziano a simpatizzare per il diavolo: qualcuno dice che bisogna pur campare, qualcun altro si fa la villa al mare o diventa collezionista d’arte. Paolo Piangiarelli, fondatore della Philology Jazz Records, è stato in Italia
uno dei sacerdoti del jazz più appassionati e intransigenti. Uno che diceva chiaramente di non pensare al guadagno mentre faceva i dischi, un produttore in simbiosi con i musicisti e che spesso come loro affermava: «mi lascio guidare dalle emozioni». Dobbiamo ringraziare un altro appassionato “donatore” come Roberto Arcuri, che da anni con il suo blog JazzFromItaly continua a immettere in rete bellezza su bellezza, con note, immagini e parole sempre di ottima qualità dedicate a questa musica e che anni fa ha intervistato Piangiarelli rendendo disponibili anche su carta le sue idee, comprese quelle che seguono, esplosive: «Ma che me ne frega del guadagno, io faccio i dischi per i posteri e quasi quasi mi dispiace di venderli agli squallidi, a quelli che non li capiscono o non gliene frega niente. Quando la bellezza ti fa
paura è meglio che tu non lo prendi quel disco, è troppo bello te, prendi un po’ di merda in giro, che c’è n’è tanta».

Sembra di sentir parlare un hippie incrociato con un punk! Parole più amare di quelle di un pubblico un po’ “bovino” Piangiarelli le ha riservate solamente per la critica jazz, in particolare quella italiana e per l’affarismo senza cuore delle major discografiche. Rimane comunque certo che una figura come quella di Piangiarelli è più unica che rara anche nel panorama italiano e qui entriamo a dare uno sguardo a Philology Jazz Records. Storia di un'etichetta discografica italiana, nota in tutto il mondo, il libro di Arcuri. Intanto, per farci capire l’eccezionalità della Philology, un capitolo iniziale è dedicato a esplorare il variegato mondo delle label indipendenti di jazz italiane. Vengono brevemente raccontate le fortune o meno di: Dire, Horo, Black Saint/Soul Note, Red Records, Splasc(h). Per il jazzofilo solo pronunciare questi nomi è sinonimo di note magiche, di ascolti miracolosi e anche, a volte, di un vago senso di superiorità: ecco cosa sanno fare i jazzisti italiani! O di sciovinismo revanscista: gli americani migliori hanno registrato da noi delle vere perle perché alle loro etichette non fregava niente. Ma queste son considerazioni personali.

Arcuri da anni scava nel mondo della discografia jazz italiana e nessuno come lui è in grado di parlare di questo argomento, quindi leggiamo e prendiamo nota. Ad esempio, una considerazione fatta nel libro è questa: tra le etichette la Philology ha un catalogo monstre di 600 titoli (un'appendice lo riporta) che già da solo vale la considerazione di quanto
fosse follemente antieconomica la non-linea editoriale di Piangiarelli. Semplicemente questo vero appassionato registrava quello che gli piaceva e lo immetteva sul mercato senza considerazioni di marketing, ma solo artistiche. Il nome dell’etichetta ha il duplice significato di omaggiare Phil Woods, il jazzista che aveva accesso la voglia di incidere e quella di ripercorrere con filologia le tracce misconosciute e rare di artisti di culto come Charlie Parker o Lester Young e ancora di documentare tutti i preferiti: Chet Baker, Irio De Paula. Renato Sellani, Lee Konitz, Gianni Basso, Massimo Urbani... In
particolare per Urbani le registrazioni Philology rimpolpano considerevolmente il numero esiguo di dischi incisi in vita dallo sfortunato sassofonista romano. Piangiarelli era un vero talent scout pronto a scoprire un giovanissimo Fabrizio Bosso o far incidere un pianista considerato fuori moda come Renato Sellani.

Le testimonianze raccolte da Arcuri raccontano l’affetto di chi ha inciso per lui, e sono tutti nomi di primo piano del jazz di oggi, come Enrico Rava, Tiziana Ghiglioni, Franco D’Andrea, Paolo Fresu, Stefano Bollani. Dopo questo lavoro dedicato a Piangiarelli e alla sua smodata passione per il jazz, aspettiamo un volume due, dove Arcuri, con la maestria mostrata, indaghi la storia della Black Saint/Soul Note di Giovanni Bonandrini, un insegnante di lingue che a un certo punto diventa importatore di dischi...O di Peppo Spagnoli, un disegnatore tessile del profondo Nord con il pallino del jazz che finisce per fondare la Splasc(h). Storie di un'Italia industriale estinta (come i dischi), per certi versi grigia, ma in cui circolava
un’energia insospettabile.