Nicholas Shakespeare

Nicholas Shakespeare Bruce chatwin


1999, Baldini & Castoldi, collana “I Nani”, euro 11,37 , trad. di Mariapaola Dèttore e Sandro Melani

di Domenico Maria Gurgone
Il vagabondare – il bisogno di spostarsi – è l’espressione geneticamente ereditata di un impulso biologico ad esplorare o un fatto culturale?” Può un simile interrogativo divenire un vero e proprio dilemma di coscienza? E può, attorno ad esso, dispiegarsi un’intera ed intensa, seppur breve, vita umana?

Quando Bruce Chatwin esordì, narrativamente parlando, nel 1977 con “IN PATAGONIA”, non esisteva certo un filone letterario incentrato sul viaggio e sulla riscoperta della sua fondamentale importanza nella vicenda dell’uomo. Chatwin colmò questo vuoto. Certamente non fu il solo a muoversi in questa direzione, e forse non lo fece neppure consapevolmente. Tuttavia, pur non creando un genere, contribuì in modo sostanziale a tagliare i rovi che allora impedivano il cammino sul sentiero che avrebbe in seguito condotto ad una narrativa “meno addomesticata”, divenendo peraltro il più raffinato interprete di questa virata nella letteratura moderna.
La sua innata predisposizione per l’antropologia culturale e le sue abilità oratorie affondavano le proprie radici nelle precedenti occupazioni lavorative maturate come archeologo, nei trascorsi presso case d’aste inglesi e statunitensi, e nelle redazioni specializzate degli inserti culturali per i giornali della domenica. Ciò premesso, Chatwin non era quindi a digiuno di scrittura o di preparazione professionale quando inviò al “Sunday Times” – presso cui lavorava appunto come esperto d’arte – un celeberrimo e conciso telegramma che recitava “Sono andato in Patagonia”. L’istinto e la necessità di fuga avevano semplicemente avuto la meglio; “l’orrore per il domicilio<\i>”, per sfruttare una citazione di Baudelaire che Chatwin era solito richiamare, imponeva un cambiamento, l’inizio di un cammino.
Nicholas Shakespeare si è fatto carico di raccontarne la vicenda umana e l’opera, per rendere un tributo all’amico scrittore, scomparso nel gennaio 1989 a soli 48 anni a causa dell’Aids. Nella biografia intitolata “BRUCE CHATWIN” (Baldini & Castoldi), frutto di un accurato lavoro di consultazione delle carte private dello stesso Chatwin e della sua famiglia, durato ben più di un lustro, emergono le molteplici personalità del narratore inglese, a partire dagli anni del college fino ai giorni della malattia. L’aver avuto accesso ai taccuini scritti di proprio pugno da Chatwin si è rivelato, assieme ai contributi raccolti fra i colleghi scrittori e fra i suoi amici intimi, il vero punto di forza di questo corposo volume, altrimenti ostico per chi dello scrittore conoscesse poco o nulla. Infatti, il continuo susseguirsi di nomi, di incontri e di luoghi, di ricordi e di richiami risulta a prima vista quantomeno spiazzante per il lettore.
E’ soltanto attraverso la ricostruzione di una sorta di puzzle – i cui pezzi Shakespeare ha rovesciato sul tavolo in modo spesso volutamente disordinato – che emergeranno alcuni dei tratti salienti della personalità dell’autore di “LE VIE DEI CANTI”. Dalle parole di stima, fra i molti, dell’amico scrittore Salman Rushdie, che lo definì l’intelligenza più fulgida con cui si fosse mai confrontato, al rapporto anomalo e tormentato con la moglie Elizabeth, schiacciata nell’angolo del proprio ruolo dall’impossibilità per Bruce di concepire un qualsivoglia rapporto d’amore, reciproco ed esclusivo. La vicenda di Chatwin si arricchisce poi, in questo volume, delle sferzanti confessioni dei suoi amanti, della scoperta (o riscoperta) e della tardiva e mai forse completa accettazione della propria omosessualità. Ed infine dell’atteggiamento ambiguo mantenuto nei giorni della fine, quando la paura impedì a Bruce persino di pronunciare mai in pubblico il nome della malattia che lo avrebbe portato via, ma non gli impedì di ultimare per tempo il suo ultimo libro pubblicato in vita, “UTZ”.

Quando Nicholas Shakespeare sfrutta le confessioni dei compagni di viaggio e dei mentori di Chatwin, delle persone che lo hanno conosciuto a fondo e che hanno avuto il piacere di ospitarlo, o di quelle che lo hanno soltanto sfiorato, il volume diviene più agile ed accessibile e riesce a spingersi oltre la trappola di una compiaciuta e compiacente celebrazione dell’uomo, dell’alone di mito che ne circonda ormai la figura. Infatti, Bruce Chatwin, assurto ormai in funzione del grande successo postumo dei suoi libri a vera e propria icona del cosiddetto scrittore-eroe dallo “zaino in spalla ed un cielo di stelle per coperta”, esce a tratti ridimensionato da questa biografia che, come detto, ne scandaglia anche i vizi privati, le insofferenze e le manie, le astuzie e gli artifici. Proprio in tal senso Shakespeare, sebbene abbia esaltato il puro talento narrativo profuso ne “LE VIE DEI CANTI” o in “SULLA COLLINA NERA”, non ha esitato a tratteggiare la figura dell’autore nei termini di un abile affabulatore, capace di scovare storie lontane, di documentarsi (seppur velocemente ed in modo poco paziente) per poi renderle ammalianti e oltremodo suggestive, ed infine poterle fare proprie e raccontarle, come se fossero accadute poco prima ed il loro ricordo fosse fermamente fissato nella mente del narratore.
In questa biografia non mancano, in definitiva, degli spunti notevoli per chi voglia approfondire la figura di Bruce Chatwin andando oltre i volumi – soltanto cinque – pubblicati dall’autore in vita. In queste opere è ancora percepibile l’urgenza narrativa di un uomo appassionato della vita, della scoperta e del nuovo, aperto all’incontro ed al confronto. Uno scrittore nel pieno della propria evoluzione e che, come ricorda ancora Rushdie, “[…] aveva appena cominciato”, e del quale “non abbiamo i [suoi] libri più maturi, che sarebbero potuti nascere dopo che si era innamorato di sua moglie.” Un inimitabile narratore al quale una malattia beffarda ha tolto la possibilità di fornire una risposta all’interrogativo di partenza, costringendolo ad ammettere dinanzi a se stesso, lievemente – durante le ultime ore di agonia e circondato dall’amore degli amici più cari e della moglie ritrovata – che “se non posso camminare, non posso scrivere”.