Francesco Meli

Francesco Meli Cool, Hip Beat: Dal jazz moderno a Jack Kerouac


Mimesis, 2021, 180 pp., Euro 14,00 Saggi | Musica

21/05/2021 di Franco Bergoglio
A dispetto dell’argomento musical-letterario, Cool, hip, beat. Dal jazz moderno a Jack Kerouac parte dal potere, per l’esattezza quello americano. Non si tratta di hard power, ovvero della forza dispiegata dall’esercito più forte del mondo, dalla sua organizzazione e dalle sue temibili armi o tecnologie. Qui si parla di quello politico esercitato grazie alla cultura, definito da J. S. Nye soft power, uno strumento di gran lunga meno bellicoso, discreto, soffice e mellifluo, specie se speso in operazioni di facciata che nascondono secondi fini. Un potere che non alza la voce, ma non per questo è meno determinante nel vincere le guerre, con una capacità di penetrazione sorprendente.

Qui l’autore del libro, Francesco Meli, già professore di Studi Americani alla IULM di Milano, raffinato conoscitore della cultura di quel Paese, sceglie di raccontarcelo magistralmente non con le parole di un politologo o di uno spin doctor presidenziale, ma tramite il poeta Carl Sandburg: “Che cosa, Hollywood è più importante di Harvard? La risposta: non è impeccabile come Harvard ma arriva comunque più lontano”. Solamente la musica, afferma Meli, si avvicina al cinema americano come esportatore di immaginari. Il soft power si serve dunque di meccanismi obliqui, di attitudini filosofiche che attraversano gli stili, i generi, le arti. Una fondamentale caratterista è il “cool”.Intimamente interconnessa con i più innovativi generi musicali d’America, una certa estetica cool, continuamente rimodellata nel corso del tempo da esigenze e aspettative diverse, continua ad avere un ruolo centrale nel soft power del Paese e quindi nella sua attrattiva esercitata su scala planetaria”. Un’attrattiva che spazia da Marylin Monroe a Jimi Hendrix, dal rock’n’roll a Star Wars, dal jazz ai fumetti Marvel. Non serve aggiungere altro, bisogna invece delinearne gli aspetti.

L’accoppiata di concetti hip/cool viene sviscerata a fondo. Non pensate che hip sia solo qualche personaggio scomodo per l’America mainstream oppure un “amico dei neri” o che cool sia solamente una certa attitudine al distacco e al fare disinvolto di un Miles Davis. L’autore allarga le maglie del discorso e ne cava fuori un ragionamento articolato che risale indietro a cinquecento anni fa, dal Cortegiano di Baldassar Castiglione, per arrivare all’hipster e al cool contemporaneo. Allargato il quadro necessariamente si torna poi ai fondamentali: il cool è blues, è jazz, è beat generation.


Lasciamo ai lettori scoprire i tanti artisti blues e jazz tirati in ballo, da Elmore James a Chet Baker. Un modo felice per descrivere il cool utilizza il noto motto di Hemingway Grace Under Pressure. Il coraggio per lo scrittore è grazia sotto pressione; un corollario
praticamente perfetto per decenni di improvvisazione jazz. Questa frase implica la fredda calma nel produrre arte senza fatica apparente, la creatività che vive nell’urgenza, nell’ottenere il massimo con il minimo. In pratica Miles Davis. Eppure il capitolo successivo esplora un’incarnazione di cool diversa e originale: quella del Modern Jazz Quartet, il gruppo che dagli anni Cinquanta ha promosso un jazz cameristico, quasi sussurrato, ispirato in parti uguali alle radici afroamericane e al linguaggio classico
europeo. La compassata presenza scenica del quartetto, l’abbigliamento impeccabile sono stati discussi almeno quanto la loro musica e suscitano risposte differenti a seconda del pubblico che “legge” questi simboli: significano cose diverse per i bianchi colti, per i neri alto borghesi e per quelli rivoluzionari, per jazzisti e jazzofili. Un cortocircuito di significati sovrapposti o contraddittori che Meli -dopo aver eliminato le retoriche legate alla “politica della rispettabilità”, un tema frequente per il jazz nero nell’America bianca- squaderna trovando nell’attitudine cool del Modern Jazz Quartet una convincente lettura “altra” di questo gruppo-enigma.

Gli ultimi capitoli del libro esplorano altre situazioni: le voci cool sono rappresentate da Frank Sinatra e Billie Holiday: due artisti apparentemente distanti, in realtà uniti da sottili relazioni. Tra hip e cool si colloca anche la parabola creativa di Jack Kerouac. L’interprete più noto della beat generation ha sempre amato il jazz e riconosciuto un infinito debito artistico verso questa musica, ispiratrice di una scrittura diversa. La prosa bop teorizzata e praticata da Kerouac ha offerto dei capolavori immortali, ma oggi l’idea di una scrittura che imita il jazz è un luogo comune per epigoni maldestri, foriero di scritti pasticciati. D’altronde non possiamo certo addossare a Kerouac la responsabilità di quanto è successo dopo di lui.

Il libro si chiude con un’immagine-simbolo del rapporto jazz/beat/cool. Il collante di questa rappresentazione è fornito dalle note di The Hunt, l’eccitante duetto di sassofoni tra Dexter Gordon e Wardell Gray citato sia nella bibbia beat On The Road sia nel meno noto Go, romanzo apripista di John Clellon Holmes. Meli lega questi due libri e la canzone a una foto di Dexter Gordon scattata da Herman Leonard nel 1948. Un “ritratto cool” per il quale possiamo per una volta usare legittimamente il termine di icona. “Tra volute di fumo di sigaretta Dexter Gordon, seduto con un cappello stile pork pie e con il sassofono lievemente appoggiato alle gambe mostra un’attitudine cool di incomparabile raffinatezza”.