Fernanda Pivano

Fernanda Pivano I miei amici cantautori


Mondadori 2005 - Pagine 201, € 15.00 Musica

di Luca Meneghel
Cominciamo da una considerazione fondamentale: “I miei amici cantautori” è un libro artificiale. No, non è una parolaccia: in termini editoriali significa che è un libro che non raccoglie nulla (o quasi, nel nostro caso) di inedito. L’idea del libro, a cura di Sergio Sacchi e Stefano Senardi, è quella di raccogliere contributi della Pivano, prevalentemente di carattere giornalistico, su cantautori conosciuti più o meno approfonditamente dalla scrittrice nel corso della vita. A corredo dell’antologia di scritti un’introduzione dell’autrice che cerca di spiegare perché “questa Pivano è così innamorata di musicisti e cantautori”, un’intervista all’autrice da parte dei due curatori (i quali cercano di scavare sino ai primi rapporti di Fernanda Pivano con la musica, rappresentati da un pianoforte regalatole dalla madre) e, prima di ogni articolo, un commento della scrittrice sulle pagine che seguiranno o, più in generale, sulle tematiche trattate.
L’avvio non è affidato ad un musicista, ma ad un evento storico: Woodstock, riletto sul “Corriere della Sera” in occasione della visita di Michael Lang (l’organizzatore) all’Università Bocconi di Milano per presentare il film “My Generation”. Inizia poi il catalogo dei musicisti, un viaggio nello spazio e nel tempo: dall’Olimpo di Dylan, letto come poeta e profeta di una generazione (senza, ovviamente, che lui lo volesse), e di De Andrè (ad essere riportata è l’introduzione redatta per “De Andrè il corsaro” in cui la Pivano affronta l’annoso confronto tra Dylan e Fabrizio, un confronto che ai miei occhi ha sempre avuto uno scarso significato), fino a personaggi nostrani e più recenti che rispondono al nome di Vasco Rossi, Jovanotti e Ligabue.
In questa lunga carrellata ad essere tirati in ballo sono anche Jim Morrison, del quale sottolinea giustamente il profondo lato poetico, Bruce Springsteen, Laurie Anderson, Francesco Guccini in una inedita (unico caso insieme a quella di Capossela che chiude il libro) intervista che indaga i rapporti del cantautore di Pavana con America e letteratura statunitense, e Lou Reed, altro grande amico di Fernanda.
Da un punto di vista letterario, i pezzi della Pivano presentano tutti il suo caratteristico stile che definirei nostalgico ed entusiasta allo stesso tempo: Fernanda non annoia mai, ha sempre la parola giusta per tener ben desta l’attenzione di chi legge. Altra caratteristica della scrittrice, molto evidente, è quella di vedere le cose con gli occhi di un bambino: parlando di Ravi Shankar e della sua patria dice di non essere stata colpita dalla miseria del continente indiano, quanto dalle bellezze della natura, dai paesaggi, dagli animali: uno scenario idilliaco, senza dubbio, ma forse un po’ troppo ingenuo se pensiamo ai reportages indiani di Pasolini e Moravia redatti pochi anni prima.
È buona, Fernanda Pivano: ha una parola buona per tutti, tanto per Dylan quanto per Jovanotti o Vasco. Ma Fernanda Pivano è così: non cercate in questo libro una valutazione critica sugli autori citati, perché non è nelle intenzioni dell’autrice, la quale vuole semplicemente raccontare cosa pensa di determinati cantautori ma, prima di tutto, di determinati amici.
Sarò sincero: non ci troviamo di fronte ad un libro fondamentale e da alcuni articoli ci si aspetterebbe forse qualcosa di più, soprattutto se pensiamo alla caratura della giornalista che li ha scritti. Detto questo, è però sicuramente indicato per tutti coloro che all’amore per la buona musica affiancano quello per una grande scrittrice, personaggio fondamentale nel panorama letterario italiano.