Erri De Luca Montedidio
2001, FELTRINELLI
di Christian Verzeletti
Invece questo nuovo lavoro di Erri De Luca è profondamente radicato nella realtà, anzi in un crogiolo di realtà: Montedidio, quartiere di Napoli, formato da sedimenti storici di vita quotidiana che brulicano senza pausa.
Proprio Napoli è la protagonista del libro, più del ragazzino che sogna di far volare il suo “bumeràn” nella notte di capodanno, più di Maria che vuole liberare la sua vitalità prorompente, più dello “scarpaio” che attende il sollievo della morte. Napoli con le sue mille povertà, Napoli con i suoi odori, Napoli con i suoi ricatti e con i suoi sotterfugi, ma soprattutto Napoli con il suo dialetto, lingua unica e distinta: “l’italiano è una lingua senza saliva, il napoletano invece tiene uno sputo in bocca e fa attaccare bene le parole”.
Proprio tra l’italiano e il napoletano si innesca uno dei confronti più vivaci del libro: il protagonista scrive il suo diario “in italiano perché è zitto e ci posso mettere i fatti del giorno riposati dal chiasso del napoletano”. Ma durante il giorno vive e pensa nella sua lingua, quella che non deve studiare, quella che ha appiccato addosso con orgoglio, quella che gli permette di crescere ed essere qualcuno tra i vicoli del quartiere.
Solo in superficie il romanzo è una storia romantica, ma sotto l’apparente semplicità si intrecciano diversi piani, non ultimo quello dell’istintività umana continuamente chiamata in causa da un ambiente carico di forze primitive: lacrime, sangue, sudore e ormoni si mescolano in una linfa vitale che rende anche l’amore “un’alleanza, una forma di combattimento”.
La scrittura di De Luca si muove con una leggerezza che gli permette di usare metafore senza uscire dal vissuto e di fare citazioni senza affermarle: così don Rafaniello, il gobbo ebreo che aggiusta la scarpe a tutta la città, ricorda il Quasimodo di “Notre Dame de Paris” e Maria ha la sensualità incontenibile di Esmeralda. Ma più di tutto è ancora Napoli ad essere elevata allo stesso ruolo della capitale parigina: i lavatoi, rifugio dei due innamorati, sono il punto più alto del quartiere, proprio come la cattedrale del romanzo di Victor Hugo, e da quel punto, radicato a terra, ma proteso verso il cielo, la storia viene vissuta e osservata.
Da lassù si colgono i rumori e le voci della città, i razzi di capodanno, le bestemmie dei poveracci, i richiami dei venditori, i gemiti dei sofferenti: da lì il ragazzino di tredici anni affronta i propri pensieri, coltiva i propri sogni fino a scatenarli in un urlo finale liberatorio.
“Montedidio” è un romanzo che dura un attimo, ha la forza d’uno sputo, l’impeto di un’imprecazione, la tenerezza nascosta di un sogno e la voracità del tempo che corre impietoso perché, come dice il falegname mast’Errico, “’A iurnata è ‘nu muorzo”. Solo alla fine ci si rende conto di quanto si è vissuto, e di quanto si è letto.