Colum Mccann

Colum Mccann Apeirogon


Feltrinelli, 2020, traduzione di Marinella Magri, pp., 122 euro Romanzo | Saggi

20/02/2024 di Silvano Rubino
Leggere Apeirogon di Colum McCann in questi giorni di guerra è un vaccino. Previene la faziosità, la tendenza a semplificare, a schierarsi, a sventolare bandiere, a usare il conflitto israelo-palestinese per affermare la propria identità, politica, culturale, ideologica.

Leggere Apeirogon di Colum McCann in questi giorni di guerra allena la mente e la coscienza, apre orizzonti. Ci aiuta a sfuggire alle bandiere e agli slogan, ci invita a capire, distinguere, invece che a schierarci. Ci  ricorda che ci sono sono tanti uomini e donne di pace, sia in Israele, sia in Palestina, fautori della convivenza, ci sono Israeliani che si battono contro l’illegale occupazione dei Territori, Palestinesi che propugnano la non violenza, il dialogo, che inorridiscono di fronte al terrorismo. In quelle terre, soffocati dal frastuono delle armi, levano deboli voci, minoritari, ma presenti, tanti costruttori di ponti. Mentre noi da quaggiù giochiamo a quelli che - comodamente seduti davanti alla tv - li bruciamo.

Tra questi (pochi) costruttori di ponti ci sono i due protagonisti del romanzo di McCann (romanzo, ma anche saggio), Rami Elhanan e Bassam Aramin, che, quando si rivolgono l'uno all'altro, si chiamano "fratello". Sono uniti da una grande perdita, sono uniti dalla scelta della pace, dopo essere stati - entrambi - uomini di guerra. Sono uniti dalla sensazione costante di essere una minoranza, ma una minoranza agguerrita e incapace di arrendersi.

La forza di Apeirogon risiede nella sua capacità di farci entrare nella complessità del conflitto israelo-palestinese attraverso storie individuali: McCann non si limita a narrare; esplora, interroga, e soprattutto, umanizza.

Il titolo stesso è un poligono con un numero infinito di lati e  simboleggia la molteplicità delle prospettive che l'autore abbraccia. McCann non offre soluzioni facili né si arrende al cinismo; piuttosto, celebra la resilienza dello spirito umano e la possibilità di riconciliazione, anche nelle circostanze più dolorose. Non si astiene dal giudizio, condanna esplicitamente l'occupazione dei Territori Palestinesi, la violenza anche verbale dei coloni, condanna il fanatismo dei terroristi, ma evita di cadere nel tranello di una narrazione unilaterale, mostrando invece come entrambe le comunità siano vittime di un ciclo di violenza che sembra non trovare fine.

La storia di Rami e Bassam scorre nelle pagine senza un ordine cronologico preciso, con continui flashback e flashforward, una narrazione fatta di frammenti, che accosta la storia minima a quella con la S maiuscola, intreccia rilfessioni sull'arte, la politica, la natura, il passato più lontano e il presente.

Viene da chiedersi, oggi - di fronte a un momento in cui la scena è tutta dei signori della guerra, da una parte i tagliagole di Hamas, dall'altra i generali israeliani al servizio del governo più estremista di sempre, in cui loro sono i protagonisti, lo saranno per chissà quanto -  cosa fanno e cosa pensano Rami, Bassam e la pattuglia di pacifisti con cui si accompagnano, in giro per conferenze e incontri.

Silenziati, come lo sono le persone normali, quelle che vivono e soffrono, da una parte e dall'altra, gli israeliani che scendevano in piazza contro Netanyahu, quelli che provano a vivere normalmente in un kibbutz, quelli che vanno a un rave, i palestinesi che combattono ogni giorno non contro un nemico, ma per la propria sopravvivenza, ammassati nei campi profughi, in fila ai check point per andare a lavorare, gli arabi israeliani che vivono in democrazia e in pace... Tutti questi - la maggioranza delle persone - saranno per mesi ancora solo comparse, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, vittime, sulla scena solo per rappresentare una morte, un dolore, una fine, come sanno Rami e Bassam, che quel dolore hanno vissuto sulla loro pelle.

Apeirogon non è solo un romanzo, ma un invito a superare le barriere ideologiche e fisiche che ci separano. Nel farlo, McCann non solo ci racconta una storia di perdita e di speranza, ma ci insegna anche il potere salvifico del racconto, del dialogo e della comprensione reciproca. Come i protagonisti del libro, possiamo chiamarci "fratelli" nel nostro comune desiderio di pace, dimostrando che anche nel cuore del conflitto, l'umanità può trovare un terreno comune. Basta volerlo.