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Claudia Berton Sulle vie del levante
Stampa Alternativa, 2003, € 12,00
di Simona
D’altro canto questo è anche un libro di viaggio in cui, nell’epoca di Byron e Shelley, il Medio Oriente ancora era, romanticamente, il Levante. Un luogo che, in un immaginario pre-terroristico, era la bellezza esotica, il misterioso, l’esoterico, la poesia. Ed è un viaggio nel quale, mentre Napoleone attua gli ultimi affondi sul continente, riscopriamo le radici dei primi contatti fra Europa e Medio Oriente. La prima ricercava alleanze e intrighi capaci di garantire la supremazia all’una o all’altra potenza continentale nell’ottica dello scacchiere europeo mentre, al contempo, scopriva affascinata la cultura magica e la bellezza di quella che era chiamata la Sublime Porta. Il secondo, dal canto suo, guardava con crescente ammirazione e un poco di invidia all’esponenziale progresso tecnologico europeo, mentre i pascià locali facevano cavare gli occhi e tagliare le teste a chi li tradiva per poi darli in pasto ai cani, e nel quale i beduini offrivano ai loro ospiti tre tazzine di caffè: “una amara come la vita, una dolce come l’amore, una soave come la morte”.
In conclusione questo libro offre, in maniera raffinata e pacata come una cerimonia del tè inglese, niente di più e niente di meno rispetto a quello che promette a coloro che hanno voglia di vedere con occhi antichi, e di conoscere esistenze singolari e deliberati destini.
“…il fascino dei beduini e del loro mondo agli occhi degli occidentali non avrebbe fatto che crescere con il passare degli anni, in proporzione con la distruzione del loro mondo da parte dell’avanzante “modernità”: “fiori fragili” come li avrebbe definiti Lèvi Strauss- destinati a soccombere in un mondo sempre più omologato- il fascino unico dei beduini andava infatti in senso esattamente contrario a quello della civiltà occidentale per la loro capacità di vivere e costruire la propria filosofia sul vuoto, animato da impalpabili spiriti chiamati “jinn”, materializzati in mulinelli di sabbia e quasi sempre ostili agli uomini. Racconta T.E. Lauwrence di essere stato invitato un giorno da una delle sue guide a sentire da una finestra ad oriente il profumo più delicato di tutti, quello del vento del deserto, “vuoto, inerte, limpido, alito stanco nato in qualche luogo oltre l’Eufrate lontano ed ora, dopo molti giorni e notti di viaggio tra l’erba morta, giunto al primo ostacolalo: le mura del nostro palazzo in rovina, opera dell’uomo. (…) “Questo” – dicevano gli arabi –“è il profumo migliore: non sa di nulla”. Voltavano le spalle ai profumi, al lusso, per scegliere le cose in cui l’uomo non aveva avuto parte alcuna.”