Carlo Ginzburg

Carlo Ginzburg Miti emblemi spie: morfologia e storia


Adelphi, 2023, Collana Il ramo d'oro, Nuova edizione, 2023, pp. 332, 34 tavv. a colori, 35 euro Saggi | Società | Arte

28/09/2023 di Franco Bergoglio

La nuova edizione di Miti emblemi spie: morfologia e storia, testo fondamentale di Carlo Ginzburg, potrebbe incuriosire gli scrittori di gialli e i lettori più esigenti in materia di meccanismi narrativi. Il perno centrale del libro riporta il vecchio titolo Spie. Radici di un paradigma indiziario e fa triangolare in maniera mirabile un critico d’arte seminale, il padre della psicanalisi e il detective prototipo per eccellenza del giallo classico. Il trio Morelli-Freud-Sherlock Holmes, proietta il lettore in una dimensione di pensiero brulicante di connessioni.

Ripercorriamo la vicenda dall’inizio, da Giovanni Morelli. I suoi articoli di critica d’arte appaiono in Germania nel 1874-1876 firmati dal russo Ivan Lermolieff e tradotti in tedesco da Johannes Schwarze (entrambi sono pseudonimi del vulcanico Morelli). I suoi libri, scrive lo storico dell’arte Edgar Wind in Arte e anarchia, sono cosparsi di illustrazioni di dita e orecchie: «accurati registri di quelle minuzie che

tradiscono la presenza di un dato artista, come un criminale viene tradito dalle impronte digitali». Per Wind, Morelli scandalizzò, con dettami controintuitivi sulla personalità dell’artista, che: «va cercata là dove lo sforzo personale è meno intenso». Su questo punto la psicologia moderna sarebbe certamente dalla parte di Morelli: i nostri piccoli gesti inconsapevoli rivelano il carattere più di qualunque atteggiamento formale, accuratamente gestito.


Ginzburg a questo punto, muovendosi tra numerosi scritti, dimostra uno stringente collegamento diretto con Freud, dimostrando che lo studioso non solo conosceva Morelli e lo aveva citato parlando di arte nel saggio Il Mosé di Michelangelo (1914) dove riteneva il suo metodo apparentato alla psicanalisi medica, ma in realtà lo aveva letto anni prima, rimanendone influenzato fin dall’inizio delle proprie ricerche. Si domanda Ginzburg: «Ma che cosa poté rappresentare per Freud – per il giovane Freud ancora lontanissimo dalla psicoanalisi – la lettura del saggio di Morelli? È Freud stesso a indicarlo: la proposta di un metodo interpretativo imperniato sugli scarti, sui dati marginali, considerati come rivelatori». Il metodo indiziario di Morelli è stato accostato a quello di Sherlock Holmes, il quale lo usa nel racconto L’avventura della scatola di cartone (1893) di pochi anni successiva alla pubblicazione degli studi dell’italiano.


La fortuna del triangolo Morelli, Freud, Holmes si chiude con una seconda domanda. Come si spiega questa mutua circolazione di un metodo? Indubbiamente pesa il fatto che Freud e Conan Doyle, il creatore di Holmes, fossero laureati in medicina e Morelli avesse studiato scienze naturali e anatomia. Il “paradigma indiziario” caro a Ginzburg è: «imperniato sulla semeiotica» (la disciplina medica che si occupa di valutare i sintomi diagnostici). Morelli, Freud, Sherlock Holmes sono uniti dall’utilizzo del paradigma indiziario nell’analizzare I singoli casi; le discipline indiziarie e “qualitative” come la medicina hanno per oggetto casi situazioni individuali. Qui lo storico parte per un viaggio che ci porta a ritroso nel tempo alle pratiche divinatorie e ancora più indietro ai “segni” che l’uomo cacciatore deve saper leggere per catturare la preda.

Ginzburg avanza un sunto provvisorio di straordinario fascino, un affresco sulla storia dell’umanità di cui vale la pena riportare per intero lo stralcio: «Si può parlare di paradigma indiziario o divinatorio, rivolto, a seconda delle forme di sapere, verso il passato il presente o il futuro. Verso il futuro – e si aveva la divinazione in senso proprio; verso il passato, il presente e il futuro – e si aveva la semeiotica medica nella sua duplice faccia, diagnostica e prognostica; verso il passato, e si aveva la giurisprudenza. Ma dietro questo paradigma indiziario o divinatorio s’intravede il gesto forse più antico della storia intellettuale del genere umano: quello del cacciatore accovacciato nel fango che scruta le tracce della preda».

Il lettore di noir potrebbe essere interessato a tutta una serie di osservazioni sparse da Ginzburg nel saggio. Quando nasce il bisogno di identificare le persone che nei secoli passati potevano agevolmente cambiare aspetto, nome e vita? L’autore sostiene che avviene a partire dalla lotta di classe ottocentesca e serve a reprimere i lavoratori che si stanno iniziando a riunire in associazioni, a impedire i tumulti rivoluzionari sullo stile della Comune di Parigi (1871) e a monitorare chi finisce nelle maglie della legge con pene detentive sempre più lunghe, punizioni che seguono anche i nuovi reati contro la proprietà borghese introdotti dal codice napoleonico.

Nel discorso entra prepotente un altro soggetto: la società che ora mettiamo in relazione al binomio medico-detective. Il medico analizza gli indizi, scopre il male (il colpevole) curando il paziente; il detective fa cose uguali: analizza gli indizi, scopre il colpevole (il male) e rimuove il danno (reato). Un procedimento che risponde ai guasti del mondo senza ricorrere alle ideologie. La società potrebbe essere paragonata a un corpo, da scandagliare nuovamente organo per organo – come sosteneva Carl Marx nella prefazione del 1859 a Per la critica dell’economia politica: «L’anatomia della società civile è da ricercare nell’economia politica». Marx come filosofo-detective mette alla sbarra l’economia politica, un nemico ideologico astratto. Che avesse ragione chi vedeva il detective del noir americano come la

risposta concreta e non marxista ai mali della società?


In Marx e i detectives, pubblicato in Italia ne Il Giallo Mondadori (1980), il giallista Robert B.Parker, erede designato a completare l’inedito Chandleriano Poodle Springs con protagonista Philip Marlowe, scrive che: «L’eroe hard-boiled appartiene non alla tradizione marxista ma a quella cavalleresca (nella variante del cowboy western, dell’astronauta, del supereroe...di ogni incarnazione dell’ eroe solitario, n.d.a.). Questi non fa parte della gente; è solo. Le sue imprese sono affermazioni solitarie. Egli aderisce ad un codice morale privato, senza il quale nessun altro codice ha senso per lui. E riafferma costantemente il suo codice per conto di gente che non ne ha uno. È l’ultimo gentiluomo, e per rimanere tale deve spesso lottare. A volte deve uccidere...». Leggiamo questa frase insieme a quella tratta dal volumetto Raymond Chandler. L’indagine della totalità (2016) dello studioso di letteratura Fredric Jameson, uno che il rapporto cultura-marxismo lo ha sviscerato a fondo anche su generi non usuali nella critica accademica: «Il viaggio del detective è composto per

episodi in ragione della frammentaria, atomistica natura della società in cui si muove. Nei paesi europei, le persone, non importa quanto solitarie siano, sono ancora parte della società (...). Invece, la forma dei libri di Chandler rispecchia un’iniziale separazione, tipicamente americana, delle persone tra loro, il loro bisogno di essere collegate attraverso qualche forza esterna (in questo caso il detective)».


In una “società atomistisca” (per riprendere Jameson) o “per solitari” (se propendiamo per una visione alla Parker), il “medico” che cura la malattia (magari con una medicina definitiva a suon di pallottole) è il detective privato, l’eroe singolo che risponde con armi individuali a pulsioni profonde riguardanti noi tutti, che affronta - praticamente a mani nude e con trame già scritte -gli angosciosi guasti della società contemporanea.