Calandrone, Canobbio, dAdamo, Petri, Postorino

Calandrone, Canobbio, dAdamo, Petri, Postorino La cinquina del Premio Strega: cinque autori, una sola tematica


Narrativa Italiana | Romanzo

18/08/2023 di Laura Bianchi

Rosella Postorino con Mi limitavo ad amare te (Feltrinelli), Ada d'AdamoCome d'Aria, da Elliot, Maria Grazia Calandrone con Dove non mi hai portata (Einaudi), Andrea Canobbio con La traversata notturna (La nave di Teseo), Romana Petri con Rubare la notte (Mondadori).

Quattro scrittrici, uno scrittore. La Storia e le storie. Le voci narranti e i personaggi; la confessione e il romanzo; la piccola cronaca quotidiana e le pagine degli eventi che cambiano il mondo.

La cinquina del Premio Strega 2023 sembra contenere stili e generi diversi. Invece, c'è un filo conduttore, fra le cinque opere: il rapporto genitori - figli, declinato in cinque diverse possibilità, toni differenti per lo stesso tema.

Lasciamo ad altri la sinossi delle opere, ed evitiamo i confronti - materia sdrucciolevole, perché la semplificazione è sempre in agguato -, e preferiamo un respiro più ampio, seppure sintetico.

Ada d'Adamo, la vincitrice, non ha fatto in tempo a ritirare il premio: è morta a causa di quel cancro che racconta in Come d'aria, egotica rappresentazione dello strazio di una donna, ex ballerina, vissuta col culto del proprio corpo, che diviene madre di una bambina gravemente disabile, e successivamente affronta il calvario di un tumore invasivo e feroce. La sua voce ci squassa: attraverso essa, D'Adamo fa parlare una moltitudine di esseri silenziosi e dolenti, incontrati nelle varie stazioni di quel doppio calvario: bambini malati, donne sacrificali, padri rabbiosamente impotenti. E, attorno, un'Italia a volte pietosa, altre impietrita dalla burocrazia, altre ancora rivelatrice delle ingiustizie, sociali ed etiche, con cui chi soffre si trova a fare i conti. La lucidità di d'Adamo si confronta con una tensione poetica non sempre costante, perché a volte soccombe, di fronte alla matassa inestricabile di ricordi, rimpianti, rabbia, passione civile, e si dirige solo apparentemente alla figlia, quando invece grida a noi, con una prosa traboccante dolore, nato da una vita che le ha imposto una croce che non avrebbe mai desiderato.

Maria Grazia Calandrone si impossessa di una voce narrante, che è insieme la figlia - Calandrone stessa - e la madre. La prima, Maria Grazia, abbandonata dalla seconda vicino al Tevere, nel quale quest'ultima si immerse per suicidarsi. La seconda, Lucia, figura vessata fin dalla nascita, a cui, nell'Italietta del secondo dopoguerra, fu negata perfino la possibilità di vivere accanto al proprio compagno, già sposato, e alla figlia, destinata a un futuro di emarginazione e stigma sociale. Ma la figlia, adottata, ricostruisce il percorso esistenziale della madre, e attraverso lei la storia italiana fra le due guerre, che subisce infinite trasformazioni sociali, che non sembrano però toccare la questione femminile. 

In Dove non mi hai portata, Calandrone inanella larghi cerchi concentrici di poesia e scienza, di storia e geografia, di botanica e anatomo-patologia, con una maestria vibrante che affascina. La figlia, nella ricerca di una fra le tante verità sulla madre, coinvolge anche sua nonna e sua figlia, ampliando l'arco generazionale, e recupera tracce, dati, testimonianze, diventando, oltre che scrittrice, investigatrice, elaborando ipotesi, in una conclusione inaspettatamente aperta.

Figli spinti via da Sarajevo, verso l'Italia, durante il complesso e oscuro conflitto serbo - croato fra gli anni Novanta e il 2010; tre coppie di fratelli, cristiani o musulmani, bambine o bambini, ma tutti alla ricerca di un'identità, di un'unità fra sé e le proprie origini, fra queste e i propri genitori, rimasti nella madrepatria. 

È  Mi limitavo ad amare te di Rosella Postorino, la cui voce narrante alterna cinematografica oggettività a discorso indiretto libero, nell'intenzione di raccontare la Storia fra le storie, il massacro di Srebrenica e il viaggio dei piccoli verso l'Italia, l'assedio di Sarajevo e i bambini di Bjelave, il cui punto di vista viene presentato con vibrante esattezza, rispetto, grazia. Esistenze perdute o ritrovate, genitori assenti o adottivi, agnizioni e oblii; sul tutto, le amicizie, gli amori, la spinta alla resistenza, amplificata dalla caparbia volontà di non cedere alla disperazione. La necessità di una madre, di una patria, coincide con quella di un'identità? Postorino ha un'idea in proposito, ma il lettore viene lasciato libero di decidere. E le è grato.

Una madre, un figlio eccezionale. Madame Marie de Fonscolombe, Antoine de Saint-Exupéry. Un rapporto unico, poco conosciuto, che getta una luce inedita, insolita, sulla vita e sulle opere dello scrittore aviatore. Romana Petri, nel suo romanzo storico epistolare Rubare la notte, inserisce nel racconto le Lettere indirizzate dal figlio alla "mamma adorata" tra il 1910 e il luglio 1944, con l'ultima lettera recapitata alla madre quando Saint-Exupéry era scomparso da un anno. Un figlio affettuoso e inquieto, che attraversa le due guerre mondiali con la leggerezza di un volo, restando nel cuore il piccolo Tonio, ricco di entusiasmo, slanci e gioia di vivere.

Marie tace, ma Petri è abile a farla emergere dal silenzio, con la grandezza di una madre coraggio, colpita dalla morte del marito e dei quattro figli, eppure ricca di dolcezza e saggezza, pazienza ed empatia. Donna essenziale, per il volo di Tonio, nella storia, nel cielo e nell'eternità della fama. Un romanzo lieve e profondo, denso di suggestioni e riflessioni, affascinante anche nel ricostruire la genesi del capolavoro Il piccolo principe.

Un padre ingegnere, malato di depressione, un figlio scrittore, vissuto per anni nella trepidazione e nell'ansia, nell'incomprensione e nel sordo rancore nei confronti di un padre ipocondriaco e taciturno, di una madre reticente e apparentemente anaffettiva. L'abilità di Andrea Canobbio, in La traversata notturna, sta nell'evadere dal circuito claustrofobico della famiglia, dando al romanzo - autobiografico in un modo inedito e peculiare - il respiro della mitologia, della ricerca etnologica, dell'analisi urbanistica. 

Torino, ingegneristica, ortogonale, formale eppure palpitante, rappresenta lo scenario di azioni - o inazioni - che si intersecano a ricordi personali, a lessici famigliari, alle parole di Calvino, o Perec, alle vicende di Griaule, Lévi-Strauss, Leiris, studiosi del passato, spinti da curiosità e interesse verso la mitologia dei Dogon, qui fatta assurgere dall'autore a metafora esistenziale.

Canobbio risponde all'egotismo di d'Adamo con una cifra stilistica lieve e profonda, ironica e tragica, che sembra sorvolare sulla storia - di nuovo - del Novecento, sulla ritirata di Russia, sui sensi di colpa dei sopravvissuti, sulla ricostruzione, quando invece affonda lo sguardo in essa, per rivelare un tentativo di ipotesi di senso: la memoria, e la parola che la fa vivere, sono la possibilità per compiere l'eterna traversata della nostra esistenza. 

Cinque opere notevoli, da leggere e su cui riflettere.