Biagio Bagini

Biagio Bagini Odio Gershwin


Oligo Editore, 2024, 208 pagine, 18 euro Narrativa Italiana | Romanzo

04/02/2024 di Franco Bergoglio

Biagio Bagini ci ha abituati bene, iniziando un ciclo di riscrittura in forma romanzata della musica novecentesca con Swinging Stravinsky, e adesso torna sul tema (parlando di note, la parola calza a pennello) con questo Odio Gershwin. E chi può odiare Gershwin se non il compositore, suo contemporaneo, Aaron Copland, che lo vede come un temuto rivale sulla scena americana? Il libro vive fondamentalmente di due archi narrativi ambientati in un periodo storico preciso: il primo, quello degli anni Venti, ha come figura centrale Ravel e le folli notti parigine, dominate dall’arte figurativa e dalla

letteratura e musicalmente da jazz, blues e classica, da Stravinsky e da un portentoso nucleo di artisti che figurano come comparse, a partire da Gertrude Stein, Josephine Baker e proseguendo con Cocteau, Prokofiev, Boulanger, Djagilev.

Lo spunto di partenza del libro è la Rhapsody in Blue (1924) di Gershwin che compie cento anni esatti, anche se il protagonista di questa prima parte del racconto è Maurice Ravel con il suo Bolero (1928). I ruggenti anni Venti sono stati un decennio di passioni forti, dove l’arte era anche scontro. Spiega il compagno di stanza parigino di Copland, l’attore e critico e futuro regista Harold Clurman (che compare come comprimario di lusso nel romanzo): «I critici andavano affrontati sul campo, in sala. E magari presi per il collo, per capirsi meglio».


Il cambio di scena, che si sposta dalla vecchia Europa all’America, porta Copland e i suoi amici, prima a New York e poi in California. Il coast to coast fino a Hollywood segna il secondo arco narrativo, quello degli anni Trenta. Qui vediamo Aaron Copland spostarsi verso la città del cinema per lavorare come compositore nella nuova industria del film. Il libro scorre veloce e i protagonisti nel viaggio devono affrontare situazioni rocambolesche e personaggi particolari. La modernità dell’America non significa soltanto cinema, grattacieli o automobili (che permettono per la prima volta questi on the road) è anche emigrazione forzata, precarietà del lavoro, razzismo.

La modernità però si sublima nella musica, e quindi: «La Rapsodia è una città piena di tragitti, non solo di automobili, ma anche di biciclette e altri veicoli, e di gente che taglia le strade, riempie i marciapiedi e poi li svuota, un movimento continuo, come quello della sera, delle finestre spente e poi accese, e poi di nuovo spente, e tu te ne vai in giro in quei flussi di energia, che a volte ti fermano, bloccata a un incrocio, prima di lanciarti di colpo, di nuovo via di corsa, perché ognuno ha il suo tempo e la sua direzione».


La modernità rappresentata dalla Rhapsody, e prima ancora dall’esplosione artistica di Parigi, dalle luci e dal dinamismo di massa newyorkese, dall’attraversamento dell’America con vetture ora in grado di gestire viaggi impegnativi, termina alla ricerca dell’Eldorado finale: «Siccome Hollywood era un sogno arrivò proprio così, come un sogno, chiudendo gli occhi lungo le discese dell’Arizona, che si bevvero come una lunga sorsata di vita, a bocca piena, in silenzio, fino al confine della California».


Il libro termina con una epica sfida a tennis tra Gershwin, Schönberg e Copland che fanno un doppio. Musiche, mondi

caratteri si scontrano sul campo da gioco di uno sport che rappresenta anch’esso uno spicchio di modernità. C’è ancora spazio per una coda che porta agli anni Settanta e coinvolge addirittura i campioni del prog inglese, gli Emerson, Lake and Palmer...Ma, davvero, del libro abbiamo già detto troppo: al lettore lasciamo il piacere di godersi la trama e ripercorrere le gesta di tanti personaggi storici fondamentali per la musica e la cultura del Novecento.


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