Anna Vanzan

Anna Vanzan Intervista


Società

22/04/2020 di Marco Denti
Anna Vanzan (1955) iranista e islamologa, laureata in Lingue Orientali a Venezia, ha conseguito il Ph.D. in Near Eastern Studies presso la New York University. Si occupa soprattutto di problematiche di genere nei paesi islamici, in molti dei quali ha svolto ricerca.
Ha tenuto corsi in atenei italiani e stranieri e attualmente insegna   The Southern Shore of the Mediterranean (Università  Ca’ Foscari).

E’ redattore della rivista Afriche&Orienti e collabora con testate giornalistiche e programmi radiofonici nazionali e esteri.
E’ autrice di numerosi articoli pubblicati in riviste italiane e internazionali.

Traduttrice di letteratura persiana contemporanea, nel 2017 ha ricevuto dal Ministero della Cultura (MIBACT) il premio alla carriera per opera traduttiva era diffusione della cultura persiana in Italia.

 

Marco Denti intervista Anna VANZAN:

 

La storia è uno specchio del passato e una lezione per il presente” dice un proverbio persiano citato da Farian Sabahi in Storia dell’Iran 1890-2008. Anche le articolate e millenarie vicende di quella terra hanno un peso determinante nella sua letteratura. Il continuo richiamo alle tradizioni, alle leggende, persino alle gesta più umili è comune a tutti gli autori e le autrici, che Anna Vanzan ha tradotto e curato da anni, creandosi un rapporto privilegiato con la cultura mediorientale in generale e persiana in particolare. Iranista e islamologa, Anna Vanzan ha curato la più recente versione del capolavoro di Sadeq Hedayat, La civetta cieca (Carbonio) tradotto per la prima volta direttamente dal persiano.

 

Partiamo da lontano, ma credo sia necessario: cosa l’ha portata ad approfondire gli studi sull’Islam, sul Medio Oriente e in particolare sull’Iran?

 Ho studiato lingue orientali a Venezia, la mia città, ho cominciato quasi per caso, ma è stato un amore travolgente....

 

Tra le scrittrici e gli scrittori iraniani c’è un continuo ricorso alla memoria, quasi fosse un pozzo da attingere. Penso per esempio a Leyla Qasemi che scrive in I giorni che non ho vissuto: “Quando ti perdi in realtà perdi qualcosa nel tuo cuore e, finché non ti ritrovi, quella cosa non ritorna al suo posto”. Da cosa dipende, dal suo punto di vista?

 La memoria ricorda costantemente agli iraniani la loro “superiorità” culturale. Sono una delle civiltà più antiche nell’area e anche quando hanno dovuto sottostare a dinastie straniere, le hanno conquistate con la loro cultura (soprattutto arte e letteratura).

 

Nel suo lavoro c’è una spiccata attenzione verso le scrittrici che in modi e in tempi diversi hanno raccontato l’Iran. Scriveva nella postfazione a A Tehran le lumache fanno ancora rumore di Zahra ‘Abdi: “Come tessere di un mosaico, le diverse narrazioni di queste autrici ci restituiscono un paese complesso, eterogeneo, cosmopolita e consapevole delle idee e delle tendenze globali”. È una rappresentazione molto differente da quella che ci viene offerta solitamente e viene soprattutto da voci femminili. Come mai?

 In realtà noi siamo succubi di oltre 40 anni di rappresentazioni falsate dell’Iran, che hanno confuso direzione politica e società civile come fossero un tutt’uno. La letteratura ci riporta a un diverso livello, a una più equilibrata rappresentazione del paese. Parlo ovviamente della letteratura che si scrive in Iran, quella della diaspora è altra cosa.

 

Senza dubbio, La civetta cieca è un caso particolare nella letteratura iraniana: un romanzo profondamente influenzato dalle esperienze occidentali e nello stesso tempo rigorosamente fedele alle sue radici. Ed estremamente visionario. Come è stato possibile?

 Sadeq Hedayat è stato un artista geniale, ha saputo combinare tecniche aliene, elementi della sua cultura, suggestioni della sua mente fino a comporre un prodotto onirico, senza tempo anche se saldamente ancorato alla cultura persiana.

 

Dal suo punto di vista cos’ha di speciale, La civetta cieca, per essere considerato un capolavoro della letteratura iraniana, e non solo? 

 È il primo romanzo vero e proprio in lingua persiana, un modello per gli scrittori successivi e insuperato nel suo genere perché risultato di una straordinaria combinazione di ritmo in una narrazione priva di sbavature che tiene sempre desta l’attenzione del lettore

 

Nella letteratura iraniana, ma anche in altre opere mediorientali c’è una presenza del fantastico, dell’onirico o comunque di una dimensione trascendente che nella letteratura occidentale sembra scomparsa. È una continuità con il passato? 

 Senza dubbio un filone molto importante della letteratura persiana è rappresentato dal rapporto tra autore e il trascendentale. Molta di questa letteratura è ventata di misticismo, in un senso diverso da come lo intendiamo in occidente, che rappresenta un fenomeno trasversale fra credenti e non, e che anche per questo continua a mietere successi anche oggigiorno.

 

Si potrebbe fare lo stesso discorso per il carattere allegorico e storico di Suvashun di Simin Daneshvar, uno straordinario affresco dell’Iran, o per lo stile melodrammatico in La scelta di Sudabeh di Fattaneh Haj Seyed Javadi. Paradossalmente, sembra che preservando il suo passato, la letteratura iraniana appaia molto più moderna e originale di gran parte di quella occidentale. Può essere? 

 Rinnovare nella tradizione potrebbe essere uno slogan per la letteratura persiana. Per lo meno per quella di alta qualità. Anche in Iran comunque esiste una letteratura “mordi e fuggi” che, per l’appunto, non lascia solco nel tempo.

 

Quale scrittrice e scrittore si sente di consigliare a chi volesse intraprendere una prima ricognizione della letteratura iraniana, e quali invece vorrebbe tradurre e far conoscere? Ce li può anticipare? 

 Se parliamo di letteratura contemporanea credo sarà utile Mio zio Napoleone, romanzo comico di Iraj Pezeshkzad che verrà pubblicato in autunno, compatibilmente con la situazione che stiamo vivendo. Vorrei tradurre Bilqis Soleimani, una sorprendente autrice di racconti brevissimi e romanzi, appena usciamo da questa impasse generale.

 

Nel rapporto di traduzione e collaborazione c’è un autore e/o un’autrice iraniana o mediorientale con cui ha sviluppato un legame, più che con altri?

 Con molte e molti di loro ho ormai rapporti di amicizia, ma non dico i nomi per non provocare gelosie....

 

Nei suoi viaggi, c’è un aneddoto che ricorda in particolare, che le sembra rappresentativo della vita in Iran, e che vuole condividere? 

 Due settimane fa una scrittrice mi ha mandato un suo racconto di tre pagine dicendomi “guarda Anna, l’ho scritto qualche mese fa, non ti sembra una metafora di quanto ci sta accadendo con il virus ?”. E aveva ragione...

 

Leyla Qasemi, I giorni che non ho vissuto

https://booksspecial.blogspot.com/2018/03/leyla-qasemi.html

 

Sadeq Hedayat, La civetta cieca

https://booksspecial.blogspot.com/2020/04/sadeq-hedayat.html

 

Simin Daneshvar, Suvashun

https://booksspecial.blogspot.com/2018/07/simin-daneshvar.html

 

Fattaneh Haj Seyed Javadi, La scelta di Subadeh

https://booksspecial.blogspot.com/2017/12/fattaneh-haj-seyed-javadi.html