Pauline Klein

Intervista a Pauline Klein

31/03/2021 di Marco Denti

Il suo romanzo d'esordio, Alice Kahn, ha vinto il Prix Fénéon nel 2010, e l'anno dopo il Premio Murat del Group de Recherche sur l'Estreme contemporain (GREC) dell'Università; di Bari, ma è con La Figurante (Carbonio Editore 2021, traduzione di Lisa Ginzburg) che Pauline Klein ha tirato un sasso nello stagno. Le svolte nella vita di Camille Tazieff che, in un mondo obnubilato dalle immagini cerca una via di fuga creandosi una sorta di alias, nella scrittura pungente di Pauline Klein diventano una storia ricca di spunti, e attualissima. Ne abbiamo parlato con l'autrice, che ci ha risposto senza risparmiarsi.

(Ph.Courtesy Pascal Ito Flammarion)

D. Prima di tutto, come hai sviluppato la trama e i personaggi del tuo romanzo, La figurante?
R. Di solito non seguo alcuna regola o piano. Aspetto di avere ben chiaro il testo e comincio a scrivere quanto sento che è un buon momento dal punto di vista fisico. Sono ormai sicura, infatti, che scrivere sia un gesto fisico, corporeo, almeno quando si inizia. Devi resistere abbastanza da
essere sicura di mantenere un ritmo, di riuscire a restare seduta per ore senza fare nient’altro. Quando smetto di scrivere è come aver corso per un sacco di tempo... I personaggi sono arrivati uno dopo l’altro. Succede che ho una storia, o meglio, un’idea filosofica di cui voglio scrivere e spesso i personaggi sono sfuggenti... Questo è il problema... Sono lì per alimentare il principio, e non permetto loro di essere troppo se stessi, tendo a rinchiuderli dentro le mie idee.

D. Parliamo della protagonista, Camille: vive tra New York e Parigi, ma che tipo di relazione c’è tra le due città?
R. Queste grandi città contaminano il nostro spirito. Il modo di vivere che richiedono è spesso estenuante. Se non hai la personalità, il sostegno finanziario, un buon lavoro, una forza interiore per sopportarlo, la solitudine è in agguato. E ci sono città dove, se ci si sente estranei, la solitudine è molto difficile da sopportare. Ma amo queste città per un motivo specifico: uno scrittore deve immergersi in una specie di vita sociale borghese. Per essere in grado di vederla, di coglierne i codici, le interazioni sociali, il modo di parlare, di comportarsi. Per molto tempo,
mi sono vergognata di far parte di questi circoli. Ma ora ho capito chE avevo bisogno di loro per essere in grado di analizzare e di capire quelle realtà. Sono i posti da cui ho iniziato a scrivere.

D.È il motivo per cui Camille lavora nel mondo dell’arte? Quale significato
ha per lei? E per te?
R.Proprio così. Camille avrebbe potuto lavorare in qualsiasi circolo borghese per le ragioni che ho appena citato. Il modo in cui le donne scelgono di definirsi attraverso un lavoro appariscente è molto interessante, proprio perché questi lavori, rappresentativi di un certo decoro sociale, in realtà sono piuttosto diversi, nella sostanza. L’ho sperimentato in prima persona: per la maggior parte del tempo, lavorare in una galleria d’arte è come lavorare per qualsiasi altra istituzione finanziaria, ma le parole arte, edizione limitata, aste, e così via, rendono quel mondo più attraente. Quindi, rispetto a Camille, volevo che sperimentasse la differenza tra quello che vuoi apparire all’esterno, nel mondo, davanti agli altri, e che tipo di menzogne sei capace di dire a te
stessa costruendoti una vita che sembra perfetta, ma che può diventare un vero incubo. Tutte queste creazioni borghesi sono sintomi di altrettante bugie, e l’arte è una metafora molto buona di questa impostura. Mi è sempre piaciuto usarla nei miei libri: simboleggia la differenza tra ciò che si vede e ciò che c'è dietro.

D. In effetti, l’arte dice che c’è solo una sottile linea tra le apparenze e la realtà. Dov’è che si forma la nostra identità?
R. L’identità non esiste. Anche l’opinione potrebbe non esistere. Ho studiato filosofia, e in qualche modo, mi considero più una filosofa che una scrittrice. Sono più ispirata da filosofi come Merleau Ponty o Husserl, che dalla letteratura. E ho imparato, durante i miei studi di fenomenologia, che ogni identità è stata influenzata da una soggettività infinita. Ecco perché ti sto rispondendo che l’identità è difficile da definire. Dobbiamo ammettere che la nostra identità è fatta di voci, contraddizioni, costruzioni sociali, e che ogni tentativo di definirsi al di là di questa soggettività infinita, è inutile.

D. Dal tuo punto di vista, quanto e/o cosa possiamo controllare nella formazione delle nostre identità?
R. È facile mentire, se fai parte di un mondo borghese. Sto parlando di una situazione molto privilegiata di cui mi vergogno da tempo. Ma come dicevamo, la mia scrittura viene da questa infiltrazione nel mondo borghese, e avevo bisogno di essere in grado di criticarlo. Penso che molta gente spenda parecchie energie nella costruzione di un’identità che sia abbastanza buona per gli altri, perché l’identità può trovare le sue radici negli occhi degli altri. Oggi, è facile creare un personaggio molto velocemente. Trovi il tuo costume, i contenuti dei tuoi account social, la tua voce, e sarai facilmente riconoscibile. Mi chiedo come la gente faccia ad avere così tanta forza nel credere che in realtà sono una persona specifica. Gente convinta di avere un’opinione specifica, che seguono questa una specifica voce. Per me è un totale abbaglio e un modo sbagliato per condurre a te stesso. Essere se stessi è un’invenzione della società, che è stata seguita dai marchi della moda e dalle multinazionali per far sì che le persone cerchino il personaggio perfetto da interpretare. Essere se stessi potrebbe essere una ricerca senza fine. E non è nemmeno una ricerca interessante secondo me.

D. Sarebbe più sensato accettare che siamo una soggettività infinita, e godere di questa infinità, della possibilità di giocare senza seguire le regole che necessariamente vengono con l’identità che si mira a creare. Per cui, quanto di autobiografico c’è nella Figurante?
R. Direi il 35 % circa!

D. Salvo Camille, con quali personaggi riesci a identificarti maggiormente?
R. Mi rivedo in Camille e un po’ in Diane Abbott.

D. Pare di capire che le figure maschili siano un po’ elusive. Quanto devono le tue creazioni a personaggi reali?
R.Beh, il più delle volte succede il contrario. Vivo la mia vita chiedendomi se può diventare una buona storia. A volte sono annoiata da quello che vedo, a volte mi eccita. Ho la tendenza a sradicare un evento giusto per ricondurlo nei contorni di un romanzo. Certo, cercando di mantenere solo quello che penso mi possa interessare per la scrittura, mi crea delle difficoltà a vivere la mia vita. Come molti scrittori, tendo a scrivere il più possibile, a volte senza ascoltare o guardare a quello che mi succede veramente: ho la tendenza a perdere la memoria, a convincermi di cose che non sono mai accadute. Ma, per fortuna, ho degli amici che cercano di riportarmi alla realtà.

D. Quando stai scrivendo una scena emotiva o difficile, come crei l’atmosfera?
R. Non cerco di creare l’atmosfera, le mie emozioni vengono prima della scena a cui sto pensando. Di nuovo, non ho alcun piano, scrivo sempre partendo da una sensazione più che da una scena. Descrivo l’umore di un personaggio e come contamina il suo mondo intorno. Questo ha molto a che vedere con l’infinita soggettività di cui parlavamo... Mi interessa il modo in cui il nostro stato emotivo, la nostra atmosfera interiore, mutano e si regolano attraverso le nostre percezioni. Probabilmente scrivo in queste condizioni.

D. C’è più di un momento in cui Camille si lascia trascinare dalla pornografia che è esplicita, ma anche una rappresentazione. Fondamentalmente, è falsa, ma nella Figurante ha un ruolo determinante. Perché?
R. Perché sono affascinata dalla pornografia e, come molti altri, dagli uomini e dalle donne che lavorano nell’industria del sesso. Il fatto che questo mondo sia così disprezzato mentre, evidentemente, è così necessario, è molto interessante. Mi piace l’impressione di essere in grado di catturare il desiderio della gente, ma anche la distanza che esiste tra ciò che realmente desideriamo e ciò di cui ci vergogniamo, e questa possibilità molto grezza e accessibile di vedere tutto. È lì. È lì e nello stesso tempo è nascosta. Mi sono sempre chiesta come potrebbe essere un mondo in cui le donne esprimono esattamente quello che vogliono in termini di sessualità. Penso che per molte di loro, nascosto da quello che mostrano, lavorando in una galleria d’arte, per esempio, c’è un desiderio brutale che è stato sepolto e proibito da lungo tempo. Sono affascinata dal rapporto che c’è tra la corretta, buona postura sociale, e il caos della sessualità che si nasconde dietro.

D. Nella Figurante citi più Volte Kafka. Quanto ti ha influenzato?
R. Amo molto la scrittura di Kafka, il surreale mescolato con il mondo della burocrazia e delle istituzioni. Amo il modo naturale in cui descrive situazioni folli, e la sua critica della società del suo tempo. La metamorfosi mi ha ispirato molto. O meglio, le immagini che ho creato durante la lettura di questa storia mi hanno influenzato molto. Sono stata ispirata dalle immagini che mi ha suggerito, perché non sapevo nemmeno di essere in grado di costruirle. Mi ha dato l’autorizzazione a sognare come un mostro.

D. Se La figurante dovesse diventare un film, a chi chiederesti di interpretare Camille?
R. Melanie Thierry sarebbe perfetta. Sembra più giovane della sua età, ed è accessibile e allo stesso tempo completamente misteriosa. Avrebbe la capacità di entrare nel mondo mentre lo osserva. Seguirlo e non seguirlo nello stesso tempo.