Wim Wenders

Commedia

Wim Wenders Perfect Days


2023 » RECENSIONE | Commedia | Drammatico
Con Kaji Yakusho, Tokio Emoto, Arisa Nakano, Aoi Yamada



05/01/2024 di Laura Bianchi
Chi è Hirayama? Il silenzioso personaggio che ci accoglie nella sua umile casa della periferia di Tokyo, dall'arredamento essenziale, ma piena di libri,che lui diligentemente legge ogni sera, prima di stendersi esausto sul suo tatami, e musicassette (proprio quelle degli anni Settanta - Ottanta, ovviamente il Lou Reed di Perfect day, gli Animals di The house of the rising sun - e non a caso...-, Patti Smith, The Kinks, la conclusiva Nina Simone di Feeling Good), che ascolta, ogni mattina, andando al lavoro?

Del suo passato sapremo sempre poco, e passeremo i primi dieci minuti di Perfect Days, il capolavoro definitivo di Wim Wenders, ad attendere da lui una sola parola. In una metropoli affollata di individui isolati, che non comunicano tra loro, a cui fanno da contraltare gli onnipresenti slogan dai manifesti pubblicitari, Hirayama ha un lavoro apparentemente umile, ma essenziale: tenere maniacalmente puliti gli spazi forse più necessari, ma anche meno considerati in una città, i wc pubblici, il cui design ipertecnologico a Tokyo è stato affidato ad architetti di fama mondiale come Tadao Ando e Kengo Kuma.

Cogliere la bellezza nello sporco, i minimi dettagli positivi in un mondo "fatto di tanti mondi", come lo definisce Hirayama, alcuni dei quali incomunicabili tra loro, come ci si lascia trafiggere  dai raggi di sole che gocciolano tra le fronde degli alberi: esiste una parola composta, in giapponese, komorebi, che dà forma proprio a questa attitudine, che il protagonista pratica con caparbietà e intensità, pari allo sguardo luminoso che il suo interprete gli regala.

Kaji Yakusho, che ha vinto una meritatissima Palma d'oro come miglior interprete a Cannes, incarna alla perfezione la figura di un uomo come tanti, che, come tutti, convive con dolori e speranze, ma che, come pochi, sa trasformarli in regali di ogni giorno, lasciandosi sorprendere da essi. Gli esempi sono tanti, scomposti come tessere di un puzzle, che il regista costruisce insieme allo spettatore.

L'incontro con Aya, giovane tormentata, che trova la sorpresa e la bellezza in Redondo Beach di Patti Smith, a lei sconosciuta, commuovendosi sui versi "an angel with apple blonde hair, now I went looking for you, are you gone gone?"; una partita a Tris a distanza con un ignoto giocatore, che gli lascia il foglio seminascosto nell'intercapedine di un bagno; la visita della dolce e sperduta nipote Niko, fuggita da una vita ricca di tutto, tranne che dell'affetto; la routine quotidiana di pulizia, propria e altrui, che nobilita i gesti minimi, facendoli divenire sublimi; le foto - rigorosamente analogiche - scattate al suo albero preferito; i brevi cenni del capo a un senzatetto che abbraccia gli alberi; gli incontri con i gestori delle izakaya (l’osteria giapponese), o con la libraia, che commenta i libri che Hirayama acquista (libri parlanti, si direbbe, fra cui Gli Alberi della "sottovalutata" Aya Koda, Patricia Highsmith - Urla d'amore -, o Faulkner - Le palme selvagge -, non a caso raccolte di racconti, a miniaturizzare il senso della vita in tante vite); l'ultimo incontro, con un uomo malato di tumore, con cui gioca a "schiacciare le ombre", metafora dell'impermanenza della nostra esistenza sulla terra, ma anche della risposta al nichilismo: "un'altra volta è un'altra volta; adesso è adesso".

E si potrebbe continuare quasi all'infinito, per le oltre due ore di film, nel quale lo spettatore non deve, né può, cercare una trama, anche se questa c'è, e la si scopre nell'emozionante sequenza finale, a cui segue un ultimo regalo dopo i titoli di coda, a ricompensare chi, come il protagonista, sa attendere e andare oltre la superficie delle cose.

Sul tutto, alcune determinanti scelte registiche, oltre alla sublime fotografia di Franz Lustig: il formato quadrato, tipico della cinematografia del passato, gli inserimenti di splendidi sogni in bianco e nero, opera della moglie, Dorothea Wenders, che interpretano l'inconscio in modo inedito, pur richiamandosi ai film surrealisti alla Man Ray o Buñuel, la sonorizzazione iperrealistica, con tutti i rumori della metropoli, alternata ai brani che Hirayama ascolta, o al fruscio del vento fra gli alberi, mentre lui tenta di cogliere l'attimo di komorebi.

Wenders, da sempre ammirato frequentatore della cultura nipponica, conosce bene il termine Ikigai: mettere a fuoco lo scopo della nostra vita significa avere compiuto un lungo percorso interiore, che ci porta a vivere hic et nunc; a sorridere per le piccole cose; a sapersi adattare ai cambiamenti, perché essi sono parte del fluire della vita; a possedere un equilibrio che si potrebbe definire analogico, sganciato dai dispositivi elettronici che ci condizionano, e per questo tanto più umano.

Una scelta difficile da compiere; ma lo sguardo di Yakusho - Hirayama perfora lo schermo e ci assicura che si può fare, che si può essere davvero liberi da abitudini e condizionamenti, che possiamo trasformare ogni giorno in un perfect day, e cantare anche noi , fra una lacrima e un sorriso, "Stars when you shine You know how I feel Scent of the pine You know how I feel Oh, freedom is mine And I know how I feel It's a new dawn It's a new day It's a new life It's a new life For me And I'm feeling good"...