Sydney Sibilia

Commedia

Sydney Sibilia Smetto quando voglio


2014 » RECENSIONE | Commedia | Azione
Con Edoardo Leo, Valerio Aprea, Stefano Fresi, Paolo Calabresi, Pietro Sermonti, Libero de Rienzo



09/03/2023 di Roberto Codini


Smetto quando voglio” e la rivincita dei precari

Si, sono laureato, ma è un errore di gioventù del quale sono profondamente consapevole…ho inoltrato una richiesta per rinunciare al mio titolo accademico, tempo due settimane io ho praticamente la quinta elementare…”

Durante l’esilarante colloquio dell’antropologo Andrea De Santis (interpretato da Pietro Sermonti) con il titolare di un’officina meccanica, un termine sfuggito al candidato (“c’è stata un’aspra diatriba legale”) rivela inesorabilmente il suo status di laureato. Questa scena di Smetto quando voglio, film del 2014 del regista salernitano (allora trentenne) Sidney Sibilia (ora nelle sale con “Mixed by Erry”) basterebbe da sola a spiegare le riforme del mercato del lavoro degli ultimi vent’anni e la condizione dei precari.

Da insegnante di diritto, devo confessare che, ogni volta che spiego ai miei alunni la legislazione sul lavoro e l’inizio del precariato in Italia, parto da questo film e da questa scena. Sidney Sibilia ha infatti saputo raccontare uno dei drammi del nostro tempo utilizzando il registro della commedia.

Il film, uscito nel 2014 a bassissimo costo, è diventato presto un “cult movie”, nonché un vero e proprio manifesto dei precari italiani (non solo universitari), che lo avevano ringraziato per aver dato loro voce. Sibilia, in un' intervista, aveva infatti raccontato di aver pensato al film dopo aver parlato con un benzinaio laureato in letteratura latina (i benzinai latinisti sono due dei componenti della cosiddetta “banda dei ricercatori”).

Il regista ha così deciso di realizzare una trilogia, girando contemporaneamente altri due capitoli, “Masterclass” e “Ad Honorem”, chiudendo trionfalmente la saga dei ricercatori spacciatori di smart drugs: nella locandina del film si leggeva infatti “Meglio ricercati che ricercatori”).

Il film inizia con l’inquadratura di una farmacia (siamo a Roma) e si sentono due colpi di pistola. Una voce fuori campo dice: “In Italia una droga per essere definita tale dev'essere censita nell'elenco delle molecole illegali del Ministero della Salute. Cocaina, eroina, anfetamina, metadone, ecstasy e più o meno altre 200 molecole fanno parte di quell'elenco. Se una molecola non è in quella tabella allora la puoi produrre, la puoi assumere, ma soprattutto la puoi vendere. A 24 anni mi sono laureato in neurobiologia con il massimo dei voti, ho un master in neuroscienze computazionali e uno in dinamica molecolare. Negli ultimi mesi ho messo su una banda che gestisce un giro d'affari di centinaia di migliaia di euro, sono accusato di produzione e spaccio di stupefacenti, rapina a mano armata, sequestro di persona e tentato omicidio. Mi chiamo Pietro Zinni e sono un ricercatore universitario…”.

Parte poi un pezzo (in tema) degli Offspring dal titolo “Why don’t you get a job”, perchè non ti trovi un lavoro?) e la camera esegue inquadrature dall’alto sulla città, fino a riprendere l’Università di Roma “La Sapienza”.

Pietro Zinni è un neurobiologo (Edoardo Leo) che collabora con l’Università e sta aspettando un contratto che possa dargli la tranquillità economica che lui e la sua compagna Giulia (interpretata da Valeria Solarino), che lavora in un centro per il recupero dei tossici) attendono da tempo. Tuttavia il titolare delle cattedra assegna l’incarico ad un collega di Zinni e lui, disperato, non ha il coraggio di dirlo a Giulia e le dice di avere ottenuto un contratto a tempo indeterminato. Dopo aver fatto ripetizioni ad un gruppo di ragazzi, segue in bici uno di loro (che gli deve dei soldi), diretto ad una festa in un locale. Nel locale scopre che una pillola con effetti stupefacenti viene venduta a caro prezzo e gli viene l’idea: trovare il modo di fabbricare una droga ma legale. Per questo convoca i suoi amici, tutti ricercatori e tutti con lavori precari a mal pagati: c’è il chimico, Alberto (Stefano Fresi) che lavora come cuoco in un ristorante cinese; c’è l’economista, Bartolomeo (Libero De Rienzo, tragicamente scomparso pochi mesi fa); c’è l’archeologo, Arturo (interpretato da Paolo Calabresi); c’è l’antropologo, Andrea (Pietro Sermonti), e ci sono poi i due benzinai latinisti, Mattia (Valerio Aprea) e Giorgio (Lorenzo Lavia).

Nei due capitoli successivi si aggiungeranno altri personaggi, Lucio, un ingegnere meccatronico (interpretato da Giampaolo Morelli), Giulio, un medico anatomista (Marco Bonini) e Vittorio, un avvocato esperto di diritto canonico (Rosario Lisma).

Pietro li convoca in un garage e dichiara il suo proposito: “Voi siete le migliori menti in circolazione e vivete ai margini della società. Noi sappiamo solo studiare, sappiamo teorizzare. E allora io ho teorizzato un modo per riprenderci quello che ci meritiamo”. E decidono di realizzare smart drugs e di metterle in commercio. Dopo qualche difficoltà iniziale le vendite iniziano a salire vertiginosamente e i soldi iniziano ad arrivare ma la cosa infastidisce i concorrenti, gli spacciatori di “Er Murena” (Neri Marcorè), con i quali dovranno fare i conti. Sulla scena apparirà poi un altro “cattivo”, il professor Walter Mercurio (Luigi Lo Cascio), che, a causa dei tagli alla ricerca, ha perso la sua fidanzata e medita vendetta.

La trilogia dei ricercatori ricercati (che, dopo essere stati arrestati, vengono ingaggiati dalla polizia proprio per combattere gli spacciatori e per questo scopriranno il piano criminale di Mercurio) si chiude con un lieto fine, come si conviene alle commedie. Questo è senza dubbio un punto di forza del film, che ha saputo parlare di un dramma sociale attraverso una commedia, senza retorica e con una leggerezza che non toglie nulla al dramma ma riesce a farci riflettere con un sorriso, anche se amaro. Gli attori sono tutti bravissimi e sono indubbiamente un altro punto di forza del film. “Siete proprio in fissa con le serie americane!” Dirà Bartolomeo agli uomini del Murena ricevendo un cazzotto in faccia, e il riferimento è a “Breaking bad”, storica serie americana con protagonista un professore di chimica, Walter White (in una puntata il suo compagno di “cucina”, Jessie Pinkman, ad un certo punto dirà proprio “smetto quando voglio!”). I nostri ricercatori, tuttavia, non hanno nulla da invidiare agli americani e, a differenza della bellissima ma tragica serie americana, riescono a divertire con punte anche esilaranti nonostante la serietà del tema trattato.

In “Breaking bad” il professor Walter White diventa il temuto Heisenberg e questo gli piace, perchè finalmente qualcuno lo ascolta, lo considera e soprattutto lo teme. “I’m not in danger, I am the danger”, dirà alla moglie fiero della sua fama di criminale.

L’esito sarà tragico, ma lui sarà per sempre Heisenberg, e così vorrà essere chiamato (“Call my name! You’re damn right!”). Il professor White si è preso finalmente la rivincita su quelli che non hanno capito il suo genio e su quelli che hanno sfruttato le sue scoperte scientifiche per arricchirsi, anche se pagherà un carissimo prezzo.

Smetto quando voglio” è e resta una commedia, anche se il paradosso dei ricercatori che lavorano per datori di lavoro stranieri (il chimico lavora in un ristorante cinese, i benzinai latinisti per un titolare cingalese) farà emergere il loro dramma sociale e umano. “Le migliori menti in circolazione” sono costrette a lavori non all’altezza della loro preparazione, come quando, nella scena finale del primo film, Pietro Zinni deciderà che è meglio rimanere in carcere, perchè in quella sede è pagato e rispettato da tutti.

Lo stesso discorso vale per l’economista di formazione keynesiana costretto a chiedere un prestito alla fidanzata di etnia Sinti, giocando a poker con gli amici del padre minaccioso (“Non si possono contare le carte a poker!”), e per l’archeologo che accetta di mangiare un panino preparato dalla moglie di uno dei suoi operai per poi invitarli in un lussuoso ristorante di pesce.

L’antropologo, invece, tornerà dal titolare dello sfasciacarrozze esibendo un curriculum criminale (Viviti la strada, mettiti nei guai!” Gli aveva consigliato nel primo colloquio, “a me non servono quelli che stanno tutto il tempo sui libri!”) e otterrà finalmente un lavoro.

La trilogia di “Smetto quando voglio” rappresenta la rivincita di quella generazione di laureati e di ricercatori che, affacciatisi nel mondo del lavoro, hanno ottenuto solo rifiuti cominciando a navigare nel mare agitato del precariato, diventando quelle “vite rinviate” di cui parla un bel saggio di Luciano Gallino. Perchè i precari lavorativi sono anche precari esistenziali, quarantenni preparati e titolati che hanno dovuto combattere con i co.co.co. e i co.co.pro., con i lavori intermittenti e la disperazione di non poter comprare una casa o mettere su famiglia, costretti a “pregare” (di qui il termine “precari”) per guadagnare qualche soldo, in ogni caso non sufficiente ad assicurare una vita dignitosa. Il rischio è evidente: chi viene lasciato fuori dal gioco può intraprendere strade pericolose e diventare un criminale, come insegnano due bellissimi film recentemente pluri-premiati: “Joker” di Todd Philips e “Parasite” di Bong Joon Who.

Il cinema è spesso in grado di raccontare il dramma del lavoro e il disagio sociale meglio di molti manuali di diritto o di sociologia e Sibilia è riuscito nella non facile impresa di raccontare il dramma di una generazione strappando un sorriso.

La scena dei protagonisti, ormai liberi, che percorrono insieme le strade dell’Università “La Sapienza” scherzando tra di loro, chiude la trilogia lasciandoci una sensazione di dolce malinconia.

Chi, come chi scrive, conosce il precariato e ama il cinema, non può non auspicare, in futuro, un quarto capitolo della saga, nel quale magari i ricercatori, ormai realizzati e sistemati, tornino in pista per sconfiggere un nemico più pericoloso, una banda di criminali veri e disposti a tutto, che sulla loro strada potrebbero incontrare “le migliori menti in circolazione” questa volta al servizio della legge.