Roy Andersson

Drammatico

Roy Andersson Sulla infinitezza


2019 » RECENSIONE | Drammatico | Commedia
Con Martin Serner, Tatiana Delaunay, Anders Hellström, Jan Eje Ferling, Bengt Bergius, Thore Flygel



08/02/2023 di Roberto Codini
Il piccione e l’infinito - Il cinema metafisico di Roy Andersson

Siamo a bordo di un aereo, nella sala ristorante. Un uomo viene colto da infarto fulminante subito dopo aver ordinato il pranzo e appena prima di pagare. Non c’è più niente da fare. Se ne è andato. La cassiera guarda il vassoio con il piatto e una birra alla spina e annuncia ad alta voce: “C’è qualcuno che gradirebbe? C’è un sandwich con i gamberetti e una birra grande. Tutto gratis…” E dopo qualche secondo di silenzio un signore alza la mano: “Io prenderei la birra…”.

2014, a Venezia il Leone d’oro viene assegnato ad un film incredibile, strano già dal titolo: “Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza” del regista svedese Roy Andresson.

Questa è una delle scene. Memorabile. Infatti il film di Andersson è una serie di scene, che sembrano vignette, autonome una dall’altra anche se in qualche modo collegate, con inquadratura a camera fissa e montaggio interno. Ci sono due venditori di scherzi di Carnevale che sono depressi perché girano casa per casa ma nessuno compra i loro prodotti. Ci sono una serie di personaggi, tutti grassottelli e bianchi pallidi, che parlano al telefono ripetendo la stessa frase: “sono contento di sapere che state bene”. Una di loro è una dottoressa che lavora in un laboratorio dove stanno torturando una scimmia con l’elettroshock; un altro pronuncia questa frase mentre ha una pistola in mano e probabilmente sta per suicidarsi. C’è poi una lezione di ballo dove una non proprio avvenente signora balla tastando maliziosa un giovanotto. E c’è poi quello che collega tutti questi frammenti di esistenza: il punto di vista del piccione (che non vediamo mai) che osserva la miseria umana e probabilmente riflette sull’esistenza. C’è anche un cilindro di metallo dorato nel quale vengono cotti come un girarrosto alcuni africani mentre un gruppo di vecchi aristocratici annoiati si gusta la macabra scena.

L’umorismo di Andersson non è per tutti, ma è contagioso. La vita umana è fatta di frammenti di esistenza nei quali commedia e tragedia coesistono inevitabilmente e dove è forse inutile domandarsi se vi sia un senso. In fondo per Andersson “tutto è fantastico”, l’Universo, il cielo, le stelle. Tutto.



2019, Andersson è in concorso a Venezia con un altro film (ma siamo proprio sicuri che sia un altro film?), dal titolo impronunciabile e tradotto con “Sull’infinitezza” (o “Sull’infinito”). Nel film è proprio un signore che stazione in un bar mente fuori nevica e i presenti stanno sorseggiando del vino rosso che, ad un certo punto, esclama: “Non è fantastico?” “Cosa?” Gli chiedono. “Tutto”. Risponde. “Tutto è fantastico”.

Nel film, Leone d’argento a Venezia e Premio della Giuria a Cannes, questa volta non c’è un piccione (almeno non lo vediamo) ma c’è una voce femminile che annuncia quello che vedremo: un uomo entra in un bar con un mazzo di fiori e vuole darli ad una signora ma la signora è già con qualcuno. E la voce dice: “C’era una volta un uomo che si era sbagliato”. C’è un dentista depresso che deve trapanare un cliente che rifiuta anestesia ma poi si lamenta per il dolore; e così il dentista lo saluta e se ne va. C’è poi un sacerdote che va dall’analista disperato perchè ha perso la fede, ma l’analista deve andare via perchè deve prendere l’autobus e lo manda via. Il sacerdote non si rassegna. Ha perso la fede e chiede aiuto. Ma in fondo è vivo. E l’analista deve andare a prendere l’autobus. Ne parleranno la prossima volta, alla prossima seduta.

La voce fuori campo parla dall’infinito, forse è Dio, forse no. In cielo due fidanzati volano sulla città. La vita continua, scorre inesorabile mentre noi possiamo solo osservare o (per citare una bella canzone di Fiorella Mannoia) ascoltare l’infinito.

Roy Andersson è un regista straordinario, complesso nella sua semplicità. Dolce e spietato come la vita. Il suo sguardo sulle cose terrene e sulle miserie umane è metafisico, per certi versi divino. Forse, come scrisse Martin Heidegger, ormai solo un Dio ci può salvare. O forse, per citare il grande Emanuele Severino, noi siamo re che credono di essere mendicanti, siamo noi l’infinito perché siamo eterni e tutte le cose sono eterne. Il punto di vista allora può essere quello di un piccione o quello di Dio ma in ogni caso, come dice l’avventore del bar, è fantastico. Come il cinema.

 



Commenti

Claudio Mariani


Sempre bello vedere Andrersson, anche se il giochetto, alla lunga, ripetuto film dopo film, e` ripetitivo. Ma e` pura arte!