Riccardo Milani

Documentario

Riccardo Milani Io, noi e Gaber


2023 » RECENSIONE | Documentario
Con Ombretta Colli, Sandro Luporini, Dalia Gaberscik, Ivano Fossati, Ricky Gianco, Paolo Jannacci, Jovanotti, Vincenzo Mollica, Gianni Morandi



12/11/2023 di Laura Bianchi
Di solito, non scrivo in prima persona, qui dentro. Ma per Io, noi e Gaber, lo splendido docu-film di Riccardo Milani, protagonista di un'uscita evento, organizzata da Lucky Red con Atomic, Rai Documentari e Luce Cinecittà, devo fare un'eccezione. Perché fin dal titolo, quest'opera ci interroga in prima persona, ci chiama in causa, ci smuove dentro impressioni, emozioni, ricordi. 

Nella proiezione di Milano, al benemerito cinema Anteo, c'erano Dalia Gaberscik, mano nella mano col marito Roberto Luporini, nipote di quel Sandro, che tanta parte ebbe nell'invenzione del teatro canzone, Paolo Dal Bon, presidente della Fondazione Gaber, i due produttori Gianluigi Attorre e Caterina Mollica, e lo stesso regista, che ha sottolineato il legame fra la storia di Gaber e la Storia degli anni che egli ha saputo così lucidamente interpretare.

"Erano decenni importanti, meravigliosi, ma anche terribili, in cui sentire le parole di Gaber aiutava. Lo si aspettava per aggiornarci, per capire come poter affrontare i prossimi mesi. Era uno spirito libero, un pensiero critico, una visione del mondo. Quando questo viene da un cantante, e non da un filosofo o da un politico, nasce il desiderio di incontrare una persona che sia onesta, che abbia una passione verso la società e il suo Paese, e sappia raccontarlo in modo popolare, che arrivi a tutti. Gaber sapeva avere un pensiero altissimo, e al contempo essere molto popolare, come dovrebbero essere tutti gli intellettuali. Lui riusciva a farlo, senza nessuno sforzo, naturalmente, in maniera meravigliosa."

La storia del mio io ha incrociato spesso la Storia di quegli anni, e anche gli spettacoli di Gaber. Nata nei primi anni Sessanta, cantavo Goganga e Il Riccardo coi miei genitori, ma poi, cresciuta e consapevole, andavo a teatro, a seguire il suo percorso. E ogni volta tornavo scombussolata, come giustamente dice Vincenzo Mollica, in uno dei suoi caldissimi interventi nel film. Perché Gaber ha la capacità di farci partire dal nostro io per andare verso il noi, dialogando con lui, in modo spesso conflittuale, e continua a farlo ancora oggi. Ne sono testimonianza, nell'opera, le presenze di Bersani, di Capanna, di Serra; che interagiscono ancora, a distanza, con le istanze e le critiche gaberiane, in un confronto critico che, lungi dal disorientare, alimenta quello che Milani intende creare: una riflessione profonda, su noi, come insieme di tanti io, sui nostri passati e sul nostro passato collettivo.

I preziosissimi spezzoni dell'immenso archivio, messo a disposizione dalla Fondazione e dalla Rai, restituiscono intatta l'energia che si percepiva a teatro: ricordo un uomo totalmente coinvolto, dalla punta dei capelli ai piedi, in quanto stava comunicando, con un senso di urgenza e di inevitabilità che ho visto solo in Dario Fo, seppur in modo diverso.

E gigantesco deve essere stato il lavorìo dell'équipe, nello scegliere e montare questi reperti, in modo da dare loro una forma coesa, cronologicamente e filologicamente esatta, ma dialogica rispetto ai ricordi evocati dai numerosi personaggi che hanno, direttamente o indirettamente, incrociato il percorso artistico di Gaber. I loro io si sono intersecati al noi di quei decenni, in un quadro volutamente non esaustivo, ma sicuramente stimolante, sia per chi c'era, sia - forse soprattutto - per chi non c'era, perché più giovane, o più disattento, o più ancorato allo stereotipo del Gaber cantante, e restio ad accettare le molteplici trasformazioni, umane prima ancora che artistiche, di una persona sempre in cerca di senso.

Milani è rispettoso e geniale, nel fare un passo indietro rispetto alla regia TV delle testimonianze del tempo, evocando una Milano - e un'Italia - che non esistono più, ma senza sterile malinconia. Le parole di Gaber, infatti, risuonano ancora contemporanee, si direbbe profetiche, e bene ha fatto Sandro Luporini, con i suoi ricordi preziosissimi e unici, a richiamare il proprio rapporto fecondo con Gaber e il loro reciproco dialogo con gli altri intellettuali del tempo, primo fra tutti il corsaro Pasolini, col quale spesso Gaber condivide l'epiteto di profeta.

Più che profeta, è evidente nel film, Gaber fu - ed è - una coscienza storica, che non smise - e non smette - di scavare nel profondo del proprio io, degli io di tutti noi, per ricapitolare, in una forma musicale e letteraria, la disperata vitalità, espressa da un corpo musicale, come puntualizza il fotografo Guido Harari, che, dandosi totalmente, sudando, urlando e muovendosi, scuote le nostre certezze, le ribalta, e le trasforma in premessa per un cambiamento. 

E l'ultimo contributo, che ferma l'immagine sul nipote Lorenzo Luporini, allora bambino, oggi attivamente impegnato nella divulgazione presso le scuole dell'opera del nonno, emoziona e scioglie in un sorriso di speranza lo sguardo su questo Terzo Millennio, che Gaber ha appena intravisto, ma nel quale permane ancora, a fare risuonare la propria voce.




Sempre rivolto al futuro, nonostante la storia attinga al passato: questo è quanto il mio io ha percepito del messaggio del Signor G, nel corso della sua vita, e del film dedicato a lui. Confortante è sapere che non sono stata la sola ad averlo fatto, per tutta la mia vita.


Riccardo Milani Altri articoli

Riccardo Milani Un mondo a parte

2024 Commedia
recensione di Roberto Codini