Michele Riondino

Drammatico

Michele Riondino Palazzina Laf


2023 » RECENSIONE | Drammatico | SPECIALE FESTIVAL DEL CINEMA DI ROMA
Con Michele Riondino, Elio Germano, Vanessa Scalera, Domenico Fortunato, Gianni D`Addario, Michele Sinisi



25/10/2023 di Arianna Marsico
L'inizio con The Bad Touch (dei Bloodhound Gang) fa capire la disumanizzazione a cui vengono sottoposti i lavoratori nella "nuova" Ilva dei Riva, quella dopo la privatizzazione. Già con questa scelta Michele Riondino, al suo esordio come regista in prima visione alla Festa del Cinema di Roma, fa centrare a Palazzina Laf l'obiettivo: fare cinema con un forte contenuto civile, degno erede di Elio Petri e Gianmaria Volonté.
La vicenda alla base della narrazione è purtroppo veramente accaduta, forse non nota quanto meriterebbe perché soverchiata dall'altro dramma dell'Ilva, il dualismo salute - lavoro, i mali provocati dall'inquinamento, cosa di cui il film mostra i primi segnali.
Quella della Palazzina Laf è la storia del primo caso ufficiale di mobbing. La nuova proprietà sul finire degli anni '90 aveva posto un aut aut a diversi impiegati con un profilo altamente specialistico o lavoratori comunque poco graditi: o accettavano di fare gli operai (senza venire poi minimamente formati per farlo) o venivano confinati, durante l'orario di lavoro, in un edificio (la Palazzina Laf, appunto) squallido, privo di qualsiasi cosa permettesse di passare il tempo senza impazzire, che arrivò ad ospitare fino a 70 persone. Persone trattato come scarti, come delinquenti, isolati.
Il protagonista è Caterino Lamanna (Michele Riondino), un operaio che viene ingaggiato come "spia" dal dottor Basile (uno spettacolare Elio Germano) per avvisarlo di qualsiasi malumore o attività sindacale in azienda. E già, perché l'Ilva non brillava nemmeno dal punto di vista delle condizioni di sicurezza sul lavoro.
Elio Germano incarna alla perfezione il ruolo di un piccolo caporale viscidamente mafioso, che ha subito presa su una persona semplice e rude come Caterino, il quale addirittura chiede di passare alla Laf per non fare niente invece di faticare in fabbrica. E che nemmeno si rende conto dei danni che procurano le sue delazioni sugli altri confinati e sui lavoratori tutti.

La sua è una storia senza redenzione, mentre finalmente, con l’arrivo di una soffiata in procura e l’inizio dei controlli dell’Ispettorato del lavoro, i confinati riusciranno a rivedere la luce, almeno in parte, anche se molti di loro avranno già subito danni psicologici da cui forse non si riprenderanno mai del tutto. Tragica ed esilarante è la scena in cui un ingegnere distrugge una parete affacciandosi su una stanza in cui gli altri stavano pregando.

Palazzina Laf mostra come la ricerca del profitto a qualsiasi costo avveleni i pozzi della società, riduca le persone a pedine egoiste del sistema, vittime e carnefici insieme (è il caso di Caterino, che inizia ad avere una strana tosse) quando non le annienti totalmente (è il caso dei confinati, in particolare Rosalba Liaci ex segretaria di Basile), rendendole vittime all'ennesima potenza.
Il film si ferma agli inizi del processo, conclusosi poi nel 2006 con la condanna per violenza privata per Riva e alcuni suoi collaboratori. Ma la tragedia dell'Ilva non è finita. Sia per gli ex-confinati, costretti a convivere con le conseguenze di quanto vissuto, sia per chi si ammala (e si ammalerà purtroppo) per i veleni emessi dalla fabbrica e per i lavoratori che non sanno che fine faranno. E questo sconvolge, che, a quasi vent'anni dalla fine del processo, ancora la fabbrica sia un mostro e non una risorsa.

Palazzina Laf è un film corale e toccante come l'abbraccio che Riondino si è scambiato con tutto il cast al termine della proiezione. All'accendersi delle luci, dopo La mia terra di Diodato in conclusione, in sala è partita una meritatissima standing ovation. Il film merita di essere visto dalle scuole e forse anche una riflessione come candidato all'Oscar come migliore film straniero non sarebbe male: perché riporta l'impegno sociale e le persone davanti alla macchina da presa, perché è recitato in modo magistrale, perché è carico di vita e dolore. E, parlando di Taranto, parla di ogni posto nel mondo in cui c'è il ricatto tra vita e lavoro.