Justine Triet

Drammatico

Justine Triet Anatomia di una caduta


2023 » RECENSIONE | Drammatico | Poliziesco
Con Sandra Hüller, Messi, Swann Arlaud, Milo Machado Graner, Antoine Reinartz, Samuel Theis



31/12/2023 di Laura Bianchi
Il 2023 è stato decisamente l'anno delle registe, e non solo in Italia. La francese Justine Triet ha infatti vinto la Palma d’oro a Cannes, con Anatomia di una caduta, storia sospesa tra il dramma psicologico, il thriller e il legal movie, osannata dalla critica e campione d’incassi al botteghino in Francia. E mai consensi furono più meritati.

La vicenda, ambientata nelle Alpi francesi, esprime al meglio la visione di un'artista, che da sempre indaga nelle profondità delle personalità individuali, mettendo in abisso, più che in scena, le contraddizioni, le tensioni tra essere e sembrare, tra i pensieri espressi e taciuti.

Lo spazio di una coppia sposata, che sembra ricalcare la prospettiva di Ingmar Bergman, è invece trattato da Triet con profonda originalità, e la vicenda si nutre di sguardi, più che di parole, con la perfetta, ambigua, intensa interpretazione di Sandra Hüller, del giovanissimo Milo Machado Graner, il figlio ipovedente, del cane Messi, premiato con Palm Dog 2023, per la migliore interpretazione canina, come silenzioso e onnisciente testimone della morte del marito della donna, precipitato dall'ultimo piano della loro baita, mentre in casa era presente solo lei.

Da questo presupposto, messo in evidenza fin dalle prime sequenze, con il figlio che prova ossessivamente al pianoforte la Suite Española di Albéniz - la cui esecuzione diverrà sempre più sicura nel corso dell'anno, arco temporale della storia - , e il cane Snoop che fa quello che il nome suggerisce, ossia curiosa fra le stanze, lo spettatore non può che rimanere avvinto da sguardi e silenzi, più che dalle battute, o dai flash back proposti all'interno del processo, in un montaggio serrato che meraviglia e affascina.

Il non detto, in psicologia, è, in alcuni casi, più eloquente del detto; Sandra e il suo ex innamorato, ora suo legale nella causa che la vede coinvolta come sospettata della morte del marito, si scambiano frasi apparentemente anodine, innocenti, ma i loro occhi dicono un desiderio mai espresso. Il figlio, dagli occhi splendidamente inespressivi, manterrà per sempre dietro di essi la verità, lasciandoci alla fine sollevati e inquieti insieme, come in un dramma pirandelliano. 

Dentro e attorno, a spargere ulteriori germi di dubbio e altri problemi irrisolti, ruotano tematiche forti. La questione di genere e i suoi stereotipi (moglie bisessuale, quindi perversa, quindi potenzialmente, in ogni caso, colpevole, per certi media morbosamente scandalistici). Le dinamiche di coppia e le conseguenti asimmetrie tossiche (lei scrittrice di successo, che acconsente a trasferirsi nel paese natale del marito, non nascondendo però il proprio senso di estraneità, lui scrittore inconcludente e frustrato, a volte passivo aggressivo). Il multiculturalismo (lei tedesca, lui francese, trovano nell'inglese una lingua franca, che però non soddisfa nessuno). Il complesso edipico latente (il figlio innocente, cieco anzitempo, ma che può salvare la madre, dopo la morte del padre). L'uso strumentale dello spazio della giustizia per muovere un altro tipo di giustizialismo, innominabile, e perciò più bieco: quello nei confronti del diverso, ancor più se il diverso è una donna, bisessuale e straniera per giunta.

Così, Triet prende in prestito l'ispirazione del titolo da Anatomy of a murder di Otto Preminger, e alcuni stilemi relativi - soprattutto il courtroom drama - come grimaldelli per catturare l'attenzione dello spettatore, e intanto inoculargli, silenziosamente, esitazioni, dubbi, incertezze, in una tensione che non è mai catartica, in un rapporto colpa - innocenza che non è mai netto né preciso. Un film che resta dentro, che smuove coscienze e che ci interroga, su più di un piano.