Gianni Amelio

Drammatico

Gianni Amelio LA STELLA CHE NON C'è


2006 » RECENSIONE | Drammatico
Con Sergio Castellitto, Wang Biao, Tai Ling, Hiu Sun Ha, Angelo Costabile, Xu Chungqing

di Paolo Massa
“La Cina non me la immaginavo così”, dice un allucinato Vincenzo Buonavolontà (Sergio Castellitto) in una scena del bel film di Gianni Amelio, “La stella che non c’è”. E nemmeno noi ce la immaginavamo così. Il regista italiano prende spunto ancora una volta da un romanzo, come ne “Le chiavi di casa” con Kim Rossi Stuart ispirato a “Nati due volte” di Giuseppe Pontiggia. In questo caso, invece, “La dismissione” di Ermanno Rea (sullo smantellamento di uno stabilimento siderurgico a Napoli) fa da prologo ad una pellicola che si delinea come la continuazione ideale della storia narrata nel libro. Meritorio, senza ombra di dubbio, lo sforzo di Amelio volto alla creazione di un seguito che non tradisse l’anima dell’opera di Ermanno Rea, senza nemmeno però appiattirsi sul già detto. E’ qui che “La stella che non c’è” ci affascina non poco, nel tentativo di acquisire forza vitale dalla parola scritta, per trasmettercela poi, quella forza, con il solo ausilio delle immagini, degli sguardi e dei volti catturati dalla macchina da presa. Con una sfida in più, però, e con la mente rivolta al futuro. Il romanzo, infatti, si conclude con la vendita degli altiforni agli acquirenti cinesi; il film prende avvio da qui, da uno scrupolo etico che porterà Vincenzo Buonavolontà a varcare i confini del Celeste Impero, tanto lontano geograficamente quanto culturalmente. La consapevolezza di aver venduto un pezzo della fabbrica difettoso, che già in passato aveva provocato gravi danni agli operai, convince il protagonista ad impegnarsi al fine di rintracciare i partner cinesi per consegnare loro la modifica alla macchina guasta. Strano, vero? Già, proprio così: sin dall’inizio, infatti, si ha l’impressione che il senso di colpa sia solo un pretesto per un secondo fine, per redimersi chissà da quale altro peccato, per cercare una strada alternativa alla propria vita. Così, ancor di più, siamo partecipi al suo viaggio interiore, un viaggio che, a tratti, ci porta all’essenza della Settima Arte: il cinema, non a caso, ci racconta sì delle storie, ma parla anche di noi, delle nostre storie, dunque, delle nostre vite. Alla fin fine il film, anche se un po’ ridondante, affronta con piglio intimista un rapporto tra due solitudini, tra due mondi, tra due tragedie sociali (la dismissione industriale a Napoli e la “stella che non c’è”, ossia l’assenza di libertà e democrazia in Cina). Gianni Amelio è sempre sensibile nel tratteggiare i caratteri dei personaggi, a partire da uno straordinario Sergio Castellitto fino alla giovane traduttrice (la debuttante Tai Ling), unica chance per immergersi in una società che più si discosta dalle nostre abitudini e meno ci attrae. La resa visiva del cambio di prospettiva del protagonista, dunque, consapevole di doversi adattare al mondo incomprensibile che lo circonda, se vuole almeno avvicinarsi al raggiungimento della sua agognata quanto impalpabile meta, è il valore aggiunto di tutto il film. Un cinema non entusiasmante, insomma, ma sincero quanto basta per farci aprire gli occhi su una realtà lontana ed altera come la Cina.