L’ultimo film di Ferzan Ozpetek sta dividendo il pubblico e, in parte, la critica, avendo già raccolto tanti commenti e recensioni negative, a fronte di giudizi completamente opposti. Però noi non ci stancheremo mai di dire che, comunque vada, una pellicola che suscita pareri contrastanti e diversi tra loro è sempre un film che merita di esistere, e che non può che fare del bene al cinema. Le motivazioni che non fanno piacere quest’opera sono principalmente due: la storia, veramente nera, di quel nero associato ineluttabilmente alla parola cronaca, che spesso viene vista male nel cinema, e la mancanza di quello che viene chiamato “il mondo di Ozpetek”, nel quale tanti personaggi apparentemente di mondi diversi, dialogano e interagiscono coralmente rendendo il tutto estremamente armonico. Ecco, in questa pellicola tale mondo non esiste, e questo perché per la prima volta il regista si affida a un libro e non inventa lui direttamente la storia. L’opera in questione è quella di Melania Mazzucco, e narra la storia di una famiglia separata, dove Antonio non sembra accettare la lontananza da sua moglie Emma e dai suoi due figli, e dove lei si barcamena per stare lontana da un marito violento che non paga gli alimenti, lavorando nel mondo del precariato che, come si vede, non riguarda solo i giovani. Ad intrecciarsi con la storia principale c’è anche quella della tragedia interiore di Maja (che si contrappone alla tragedia invece totale della storia precedente), giovane e bellissima moglie del viscido deputato per cui lavora come agente di scorta proprio Antonio. E qua arriviamo alle motivazioni del perché il film potrà invece piacere: il registro utilizzato da Ozpetek è quello dell’analisi in parte fredda, in parte coinvolta e coinvolgente, di vite apparentemente normali ma che sono ineluttabilmente destinate ad un finale implacabile. Effettivamente il tocco solito del regista è smorzato, sembrando così prestato ad una sfera differente, un po’ come è successo a Spike Lee quando ha fatto “the inside man”; ma la grande capacità è stata quella di trattare una storia apparentemente lontana dal suo mondo registico, ma con una capacità unica, riuscendo con la grande tecnica e con l’inserimento di elementi narrativi “leggeri” a rendere meno pesante quel fendente nello stomaco che è la storia stessa raccontata. Il tutto impeccabilmente, alternando magistralmente tensione e rilassamento. Inevitabile anche la menzione speciale ai due protagonisti: la Ferrari, per l’occasione trasformata anche fisicamente, e Mastandrea che trova finalmente una grande prova che rende giustizia al suo talento spesso un po’ nascosto. Spetta così allo spettatore schierarsi tra i pro e i contro di questo film, noi siamo tra i pro, sicuramente. In ogni caso rimane un film che spiazza, che fa “male”, e che conferma il coraggio sempre dimostrato da Ozpetek, questa volta ancora di più: basta pensare a come ci mostra nella locandina una scena famigliare paradisiaca che non troverà posto nella storia raccontata. Anche da queste piccole cose si capisce molto di un film…