Brian Oakes

Documentario

Brian Oakes Devil at the crossroads - A story of Robert Johnson


2019 » RECENSIONE DOCUMENTARIO | Documentario | Musicale - Biografico
Con Robert Johnson

22/05/2019 di Helga Franzetti
Con la docu-series ReMastered, Netflix non ha fatto altro che adeguarsi al mercato della biopic mania che in questi ultimi tempi sembra andare parecchio di moda. Jeff e Michael Zimbalist, hanno lanciato la prima stagione di otto episodi legati all’ambiente musicale con l’intento di sviluppare storie investigative sull’impatto che la musica ha avuto nella società. Con l’episodio su Bob Marley, ad esempio, si introducono riflessioni legate alla violenta repressione politica del movimento reggae radicale in Giamaica e il conseguente coinvolgimento della CIA, mentre trattando la figura di Johnny Cash ci si concentra sulla trasformazione politica vissuta dal cantante, rispecchiando la disillusione di molti giovani appartenenti alla generazione del governo Nixon.

Uscito alla fine dello scorso mese su Netflix Devil at the Crossroads, l'ultimo episodio della serie, cerca di fare luce sulla misteriosa esistenza di uno musicisti più influenti d'America e di collocarlo all’interno di quel profondo sud che tanto ha sofferto prima di raggiunger un po’ di stabilità sociale. Ciò che ReMastered ha tentato di fare è stato trovare la giusta via di mezzo tra l'esposizione dei fatti e il rapporto investigativo. Pochissimo, infatti si conosce sulla vita di questo personaggio: solo sulla data di nascita concordano gli storici, 8 Maggio 1911, il resto è caos.

Nessun filmato, solo due foto conosciute, una carriera discografica brevissima e una morte tragica a 27 anni, il primo ad entrare nel dannato “club 27”, a cui seguirono Brian Jones, Jim Morrison, Janis Joplin, Jimi Hendrix, Kurt Cobain, Amy Winehouse.  Gli amanti del genere, forse, si aspettavano una traccia più ricca in materiale musicale, ma le canzoni rimangono tangenti alla biografia del bluesman e agli umori della società dell’epoca, scelte come cardine del racconto. Le immagini sono comunque in grado di affascinare, anche se le emozioni non viaggiano sempre allo stesso ritmo. La fumosa figura iniziale di un uomo con la sua chitarra mentre arpeggia un blues in sottofondo e subito dopo i favolosi cipressi calvi delle paludi della Louisiana, contribuiscono a una partenza bruciante. In realtà il clima scende subito di temperatura, tra alti e bassi che conteggiano sia gli aspetti più emozionali della vita di Johnson che la storia dell’America della Grande Depressione. Le voci fuori campo, la raccolta di interviste dirette e l'impostazione drammatica dei filmati ben si adattano al contesto, mentre l'utilizzo dell'animazione lascia qualche perplessità, nonostante le buone intenzioni dell’editing di colmare le lacune dovute alla mancanza di materiale.

Attraverso gli interventi di Adam Gussow, Rory Block, Terry Harmonica Bean, Taj Mahal, il regista Oakes traccia l'eredità che Johnson ha trasmesso, da come Muddy Waters ne è stato condizionato e il conseguente avvento del blues elettrico, fino all'influenza esercitata sul rock and roll dell'epoca migliore. Eloquente l'espressione di Keb’ Mo’: "Robert Johnson risveglia il genio in tutti, e la sua musica ci parla", mentre Keith Richards racconta di quanto rimase sbalordito la prima volta che ascoltò un suo disco: “Chi suona l’altra chitarra?”, chiese. E ancora oggi descrive come ci sia un’incredibile sincronizzazione nel modo in cui Johnson riusciva a fare due cose distinte nello stesso momento, come “se ci fosse una parte che dialoga con l'altra e lui che sta nel mezzo”.

Il racconto si srotola su tematiche sociali, come la ricerca della libertà rappresentata dai salti di treno in treno per trovare un posto dove suonare agli angoli della città, e tocca argomenti profondi come il razzismo e la violenza negli anni del terrore del Klu Klux Klan o ancora indaga su materie più difficili come l'hoodoo e i rapporti tra religione e la musica del diavolo. In Devil At The Crossroads non vi è quell’enfatizzazione della leggenda che avrebbe connesso lo spettatore ad un trasporto incondizionato, lo stato emozionale è sempre piuttosto ben bilanciato con la descrizione del contesto storico. Sta di fatto che la storia di un musicista non tanto in gamba, cacciato dai juke joint dei dintorni, che scompare all'improvviso senza lasciare traccia e torna un anno e mezzo più tardi suonando divinamente, ha quel potere attrattivo che non si può trascurare. Lo stesso Son House diventa il protagonista di questo racconto “Nessuno aveva mai visto niente del genere”, avendo assistito in prima persona alla trasformazione di Johnson. Possedeva una tecnica eccezionale, fu lui a portare sulla chitarra quel giro di boogie che solo un pianoforte aveva eseguito sino a quel momento, volumi, tempi fluttuanti, respiri tra le note, ritmi che inchinarono il Delta style alle magie del ragtime e del vaudeville. L'incredibile scalata di RJ, si iniziò a pensare, poteva avere una sola spiegazione: Robert era andato al crocevia. Si suppone che si sia messo in ginocchio, che abbia consegnato la sua chitarra al diavolo e che lui l'abbia accordata... e prima di riaverla il diavolo gli disse: “una volta che la ricevi la tua anima è mia. La vuoi?”. E se stringi un accordo con il diavolo, tutti sanno che il prezzo da pagare è molto alto.
Lasciando per un po’ lo spettatore sospeso tra mistero e verità, qualche scena dopo si scoprirà che la storia più probabile è legata al ritorno di RJ nella sua città natale alla ricerca del padre biologico, dove incontra Ike Zimmerman che gli insegna tutti i trucchi del mestiere. La maledizione del musicista, i suoi modi sconclusionati e il talento prodigioso raffigurano molti pilastri dello storytelling del blues americano. A un certo punto della vita, però, vedendo solo nebbia, incarnare la figura del musicista dannato diviene una scelta di comodo. Ci giocava lui stesso con questa storia della leggenda e l’argomento diventa un tema ricorrente nei suoi testi. Essere un ribelle che seguiva solamente le proprie regole ne rappresenta la peculiarità che lo ha accompagnato fino alla sua drammatica morte. Immagine perfetta per il mondo dell’immaginario blues dell'anima dannata, disperata, in eterno conflitto con la vita terrena, la cui unica missione è quella di suonare le sue pene sulle corde della chitarra. Ma la sua musica è qualcosa di straordinario e John Hammond se ne accorge. Quando decide di volerlo per il suo spettacolo alla Carnegie Hall nel 1938, spedisce il suo agente in Mississippi per recuperare Johnson, ma allo spettacolo dovette accontentarsi di un fonografo al centro del palco che riprodusse un suo disco. Robert era morto da sei mesi… quello che avrebbe potuto essere il passo verso la redenzione non aveva incrociato il suo destino. La gente presente quella sera andò in visibilio, Robert Johnson era riuscito, dall'inferno, a lasciare il segno ancora una volta.